mercoledì 4 luglio 2007

AHDeVeer

Andrew Handerson DeVeer
Re dei Re
Signore dei Vivi e dei Morti


LIBRO PRIMO
L’importante è il viaggio, non dove si va


Capitolo primo “gli stivali nuovi”
Il sole brillava fulgido nel cielo, la temperatura era mite, una giornata stupenda, solo un po’ ventosa.
Il Marchese DeVeer stava piantato in mezzo alla strada imperiale, la principale arteria commerciale della vale di Horn, con un piede appoggiato sul cippo miliario, mentre Gino gli lucidava gli stivali da cavallerizzo neri, alti fino al ginocchio che tanto stavano bene con i pantaloni aderenti di morbida pelle di daino che tanto stavano bene con la maglia di lana di cashmir.
I carri deviavano, uscendo fuori strada nel cercare di oltrepassare i due, spesso rovesciandosi o impantanandosi, oppure aspettavano con pazienza. Una pigna di carrettieri morti indicava che alcuni avevano avuto l’avventurosa idea di cercare di far ragionare il Marchese, che per tutto era famoso, tranne che per il ragionare.
L’ingorgo proseguiva per miglia fin quasi al ponte di pietra tanto che dalla coda alla colonna non se ne vedeva l’inizio ,la causa dell’ingorgo era ignota e giravano le voci più strane.
La più accreditata era che un’orda di ribelli inferociti stesse cercando di attraversare la valle ed il Marchese li stesse affrontando da solo spada alla mano. In un certo senso, molto ma molto lato la voce era quasi vera, nel senso che man mano che i viandanti si inferocivano e ribellavano il Marchese li passava a fil di spada.
Un gruppo di cavalieri blasonati si fece strada fino a DeVeer, per aiutarlo nell’impresa eroica.
Uomini arroganti, coperti d’acciaio ed armati di spade e lance, in sella ad enormi cavalli da battaglia, ansiosi di mettere in mostra il loro valore ed abilità con le armi si fecero strada con prepotenza tra viandanti e mercanti fino all’inizio della colonna.
Li scoperta l’amara realtà il più anziano del gruppo si fece avanti lanciando invettive all’indirizzo del nobile che era venuto ad aiutare.
- Gino – fece il marchese vagamente infastidito dal ciarlare del cavaliere – per cortesia indaga sull’identità di questo individuo che osa apostrofarmi come fosse un mio pari ed allo stesso tempo presenta la mia persona a ciò che possa rendersi conto di chi ha davanti.
Gino si alzò di scatto, numerose ciambelle di ciccia ballarono più volte attorno al ventre ed alla gola del grasso servitore che prontamente si fece avanti ubbidendo al padrone.
Con voce infantile e stridula annunciò il suo signore.
- Il nobile Andrew Handerson DeVeer, Marchese di Vanhoffen, protettore della valle di Horn e Cavaliere dell’antico ordine del Leone chiede chi tu sia.
Ricevuta la risposta la riportò al padrone che essendo a trenta centimetri di distanza aveva comunque sentito benissimo.
- Un Barone appartenente ad una famiglia nobile da sole sette generazioni osa chiedermi di spostarmi e lasciargli il passo?! È scandaloso, dovrò insegnare a questo pezzente quale sia il posto suo e della sua schiatta. Gino, portami la spada lunga da duello.
Gino corse alla massima velocità per lui possibile verso il cavallo prendendo il fodero legato alla sella mentre il barone smontava e si armava. Gino porse la spada al suo padrone che la prese per l’impugnatura. Piazzo un piede sui molteplici strati di pancia del servitore e calciò con violenza mandando il bambinone obeso a rotolare nel fango assieme al fodero. Impugnando la spada così sguainata si voltò verso il barone che avanzava deciso.
Lo scontro fu breve e sanguinoso, perché il Marchese si dedicava solo a due attività nella vita, attività per altro complementari tra loro. Irritare la gente e quindi ucciderla in duello dopo averli irritata. Ed in queste due cose era straordinariamente competente.
Parò, rispose con un fendente che quasi recise il braccio sinistro dell’altro nobile e quindi incalzò l’avversario con due stoccate, una delle quali raggiunse la gola .
Soddisfatto di come la giornata aveva buttato si decise a togliersi dalla strada, con gioia dei viandanti esasperati, e montato in sella si diede ad una lunga cavalcata in mezzo ai campi coltivati dai contadini.

Capitolo secondo “tanto paga papà”
Il giovane Marchese a sera giunse al castello di famiglia. Un servitore arrivo di corsa a prendere il cavallo, un secondo a porgergli una coppa di vino fresco. DeVeer bevette e gettò la coppa vuota dietro di se. Mentre il secondo servitore correva a recuperare il boccale un terzo rispettosamente rivolse la parola al nobile.
- Signore, il suo nobile genitore le vuole parlare.
Il guerriero salì le scale facendosi strada nel labirinto di stanze fino allo studio del padre, che curiosamente invece di duellare o guidare i soldati in guerra passava il tempo a trafficare con tasse e pedaggi, sempre in mezzo ai soldi come un mercante.
-Disgraziato – disse il vecchio - eccoti qui finalmente. Ma che ti è saltato in testa oggi, perché hai ucciso il figlio del Barone Riktofen?
- Ma papà, non potevo invero farne a meno, infatti egli mi ha insolentito.
- Mi immagino. Ti avrà insolentito come ti aveva insolentito il fratello del Conte Prospero dicendoti che la tua camicia di seta non era di moda quest’anno.
- In vero era una menzogna padre, la seta blue è di gran moda
- Sarà anche vero ma perché uccidere il fratello del conte! Sei una disgrazia, una testa calda. Hai ucciso o ferito quattro nobili e non so quanti popolani. Hai pure messo in cinta la nipote dell’arciprelato della chiesa di Gamar.
- Una donna dai facili costumi…
- Ma che donna dai facili costumi?! ha passato tutta la vita in convento, è uscita un solo giorno per il funerale della madre ed io folle ho avuto la sconsiderata idea di mandare te a scortarla indietro fino al convento.
- Non si può provare il figlio sia mio….
- Ma cosa dici disgraziato, il bambino ha gli occhi blue scuro dei DeVeer, quanti uomini ci sono secondo te in questa valle con gli occhi di quel colore?
- In vero padre non lo so, ma ne conosco almeno un altro, voi (aggiunse con un sorriso) vecchio mandrillo….
Non si seppe mai il resto della frase perché il vecchio Marchese con la schiuma alla bocca si alzò per afferrare una vecchia alabarda ornamentale ed il giovane Marchese una volta tanto ebbe il buon senso di togliersi dai piedi prima che fossero versati litri di sangue.
Uscito dallo studio del padre si accorse che la sua maglia di cashmir si era sgualcita e la gettò a Gino dicendo.
- Gino, buttala e corri a comprarmene un’altra uguale. E non perdere tempo a contrattare sul prezzo…. Tanto paga papà.

Capitolo terzo “… a carne e pesce”
Il vecchio Marchese pensò a lungo a cosa fare con il figlio che comunque era anche l’unico erede maschio del casato. Il giovane era risultato impermeabile a qualunque tentativo di inculcare un po’ di buon senso nella sua testa dura e più di un tutore si era arreso e dato alla fuga nonostante le paghe principesche che il vecchio DeVeer pagava.
Alla fine, dopo lunge meditazioni, ebbe un’idea non proprio geniale ma almeno buona.
Scrisse quattro fregnacce su una pergamena e mandò a chiamare il figlio che si presentò poco dopo vestito con un’elegante completo nero.
- Andrew devi portare questo messaggio alla capitale, alla persona scritta sul retro della pergamena, un vecchio compagno d’arme.
- Ma scusate mandateci un servitore – obbiettò il giovane DeVeer.
- No ci andrai personalmente e mettici tutto il tempo che serve e anche di più, diciamo pure un anno o due. Così la gente che abita la nostra vallata avrà il tempo di sbollire la rabbia per le tue bravate
Il giovane Marchese fece per obbiettare ma poi si trattenne pensoso ed infine un sorriso malsano e feroce apparve sul suo volto sbarbato. Annui ed uscì di corsa con la pergamena in mano.
Il vecchio Marchese vedendo l’espressione del figlio si preoccupò. Tardivamente pensò che nella capitale c’erano i nobili più importanti e la stessa famiglia imperiale e che il figlio era capacissimo di sfidare qualche duca o mettere incinta una cugina dell’imperatrice.
Il giovane DeVeer intanto raggiunse la sala grande dove Gino lo aspettava mangiando uno stinco di maiale.
- Gino – urlò battagliero - preparati, partiamo per la capitale. Ci aspetta un lungo viaggio. Ci aspettano battaglie contro uomini, bestie e mostri, fors’anche demoni. Duelli con famosi spadaccini. Ci aspetta l’orrore delle atroci ferite, del gelo, della magia nera, della guerra e della fame, ci aspetta …
Ma Gino a quel punto non fu più in grado di capire nulla, momentaneamente pietrificato dall’orrore della fame per lui inconcepibile. Alla fine, ripresosi dallo shock, vide il suo signore terminare la filippica brandendo la spada verso l’alto urlando “ e metteremmo quelle terre a ferro e fuoco”.
Gino inebetito brandì lo stinco verso l’alto in una spontanea imitazione della posa bellicosa del padrone.
- Gino corri a preparare i miei bagagli, sella Furioso (il cavallo preferito del Marchese chiamato così a causa del carattere iracondo quasi quanto quello del padrone) e fatti dare delle provviste dal cuoco.
Gino corse a compiere i suoi doveri partendo dall’ultimo che gli pareva il più importante.
Corse a perdifiato fino alla cucina, sempre brandendo lo stinco a mo di spada.
- Cuoco – urlò il giovane paggio – prepara le provviste per me ed il padrone…. Dobbiamo andare a mettere la terra….. (con aria pensierosa di chi cerca di ricordare disperatamente una frase che gli sfugge) … dobbiamo andare a mettere la terra a carne e pesce!

Capitolo quarto “una serata no capita anche ai migliori”.
Il primo giorno di marcia fu lungo e tedioso. Giunsero al fine ad una locanda di strada, al limitare estremo delle terre dei DeVeer.
Prima di entrare il Marchese apostrofò il giovane servitore dicendogli:
- Gino ricorda che siamo in incognito-
- Non devo annunciarla signore
- Gino non dire idiozie. Certo che devi annunciarmi, ma senza urlare. Siamo in incognito!
Il giovane servo obeso entrò nella locanda. Gli avventori rimasero perplessi vedendo il ciccione in quello che sembrava uno strano pigiama. Ancora più straniti si guardarono tra loro quando l’obeso iniziò a dire con tonno solenne ma a mezza voce.
- Ed ora entrerà onorandoci della sua presenza il nobile Andrew Handerson DeVeer, Marchese di Vanhoffen, protettore della valle di Horn e Cavaliere dell’antico ordine del Leone
DeVeer quindi entrò con aria boriosa diretto al tavolo migliore. Scaccio i precedenti avventori a calci e quindi urlò.
- Oste porta una cena abbondante per me e due per il ragazzo e da bere a mie spese per questi pezzenti.
I pezzenti applaudirono entusiasti all’idea di bere gratis.
Pure quelli che erano stati presi a calci applaudirono.
Più tardi una vecchia cieca con gli occhi completamente bianchi si diresse verso il tavolo del nobile.
- Gino – disse questi – Lascia la sedia più vicina al fuoco a questa signora e provvedi che abbia un piatto caldo.
- Grazie Marchese DeVeer – disse la vecchia sedendosi.
La voce era forte e salda più adatta ad una persona giovane e sana che ad una vecchia cieca. Si sedette e prese la ciotola della minestra senza bisogno di aiuto ed iniziò a mangiare con appetito.
DeVeer la guardò sospettoso.
- Si sono cieca Andreich – disse
Il Marchese sobbalzò sentendo il nomignolo che nessuno usava da anni, che solo una persona aveva mai usato.
- Perdendo la vista ho acquisito un altro tipo di vista. E non vedo solo la minestra o la sedia, vedo dentro le persone. Pensa, vedo dentro ad ogni uomo e donna in questa locanda. Molti occhi sono puntati su di noi, vuoi sapere cosa vede guardandoti questa gente.
- Non mi interessa cosa pensano di me dei villici ignoranti, ma mi incuriosisci, dimmi – rispose DeVeer insolitamente serio.
- Gli uomini vedono un essere arrogante e borioso, e pericoloso. Addestrato ad uccidere e a non dare importanza alle loro vite. In grado di mandarli il galera con una parola, magari solo per capriccio. La maggior parte poi pensa che tu sia un po’ folle e quindi doppiamente pericoloso. Alcuni ti odiano ma ti stanno alla larga per timore. Altri ti invidiano e vorrebbero essere al tuo posto o almeno al tuo servizio per godere di riflesso della tua aurea. Le donne ti guardano con desiderio. Sono abituate a uomini rozzi, puzzolenti e deformati dal lavoro bestiale. Guardano il tuo fisico scattante e possente da spadaccino. L’aspetto curato ed elegante. Sei il riflesso di quello che sognano e non avranno mai.
- Non ci vuole un mago per sapere queste cose. – disse DeVeer sempre più serio
- Non vuoi sapere cosa vedo io guardandoti? – rispose la vecchia.
- Cosa?
- Vedo un uomo tormentato Andreich. Tu l’amavi, volevi sposarla, prenderti cura di lei. Ma non hai potuto perché tu sei un nobile e lei no. O forse non hai avuto il coraggio di farlo. Ora è morta in un modo miserabile, mentre eri lontano per rappresentare la casata in una guerra che per te non diceva nulla. In modo che i DeVeer potessero dire di aver servito l’imperatore, un imperatore che non ha mai preso una spada in mano, in una guerra di confine di cui non si capisce neanche il motivo. E poi cosa hai fatto? Hai trasformato tutta la tua vita in una farsa di quello che odi, la nobiltà. Ci sono dei giorni che spazzeresti via tutta la razza umana con un gesto se potessi. Odi i nobili perché sono nobili, ed i popolani perché non lo sono. Odi tuo padre per quello che ha fatto e te stesso per quello che non hai fatto. Eppure dentro di te c’è ancora il riflesso dell’uomo che potevi essere. Due mesi fa mentre eri a caccia hai visto una banda di orchi scendere dalle montagne verso le terre coltivate e li hai affrontati da solo dopo aver mandato Gino a far sloggiare i contadini. Hai combattuto come un demone uccidendo due orchi e ferendone cinque. Fortuna che li vicino c’erano alcuni guardiacaccia di tuo padre, se no non saresti qui davanti a me. Ma tu non lo sapevi, non aspettavi rinforzi, è stato un caso. Cosa vuoi fare DeVeer, diventare un eroe o un campione del male? Il caos ti attende a braccia aperte se è questo che desideri. Ha sempre bisogno di pazzi sanguinari che sappiano usare la spada. Lei però ti avrebbe voluto diverso.
DeVeer rimase serio e pensieroso per un po’. Poi senza una parola si alzò ed andò a dormire.
Gino rimase mortalmente spaventato quella serata. Era la prima volta da quando era al servizio del Marchese che il suo signore non era stato allegro e divertente.
La notte non dormì, come quella notte che aveva fatto indigestione di fagioli ed era rimasto sveglio a ruttare e petare, ed avevano dovuto evacuare il dormitorio a causa degli odori mefitici da lui prodotti. Questa volta a non farlo dormire fu la preoccupazione, una cosa simile alla fame ma leggermente diversa.
La mattina il Marchese si alzò sempre scuro in volto ma l’aria tetra durò giusto fino a che non si rimisero in marcia, presto sostituita dalla solita allegra spavalderia.
Gino tirò un sospiro di sollievo e pensò “beh, una serata no capita anche ai migliori”.

Capitolo quinto “ …che orrore….”
Un tempo erano stati soldati, ma durante la prigionia la magia nera li aveva trasformati… in qualcos’altro. La stessa magia nera aveva reso, Olmo, il cane che fungeva da mascotte al reggimento, stranamente intelligente e capace di parlare. Deformi e bestiali si erano aggirati nei boschi portando morte e distruzione e morendo a loro volta nelle numerose insensate battaglie, tra loro, con gli orchi, con quelli che erano stati un tempo compagni d’arme.
Gli ultimi due stavano nutrendosi con i resti di una famiglia di contadini massacrati quando Olmo, tropo civile ormai per quelli che furono i suoi padroni, vide l’occasione per porre fine per sempre a questo orrore.
Un guerriero a cavallo passava li vicino seguito dallo scudiero.
Olmo corse verso i due urlando ed abbaiando
- Bau , Bauuuuu, fermatevi, Bauuuu, ci sono degli orridi mostri che stanno divorando i contadini nella casa. Se li attaccate ora potete ucciderli facilmente.
- Gino, disse il guerriero all’altro- verifica se questo cane che mi interloquisce in mezzo alla strada è almeno un cane di razza.
Gino, che di cani non capiva nulla, guardò Olmo e gli chiese:
- Sei di razza?
- Bauuuuu, ma che importa ora, Bauuuuuuu, sono Olmo il cane parlante, sono di razza parlante va bene?
Gino si rivolse al padrone dicendo:
- E’ di pura razza parlante signore.
DeVeer non era convintissimo della cosa ma aveva voglia di combattere, quindi corse seguito da Gino ad affrontare i mostri.
Trovò il primo intento a divorare le viscere di un bambino e lo trafisse alla schiena. Le tre bocche del mostro morente urlarono strazianti. Il secondo, intento a copulare con il cadavere di un contadino morto, si alzò di scatto. Tutta la testa era ricoperta da occhi di tutte le forme e colori possibili, le membra scimmiesche e pelose terminavano in due tenaglie, DeVeer lo spacciò in due colpi.
- Dei che orrore. Disse Gino impietrito
- Già – Aggiunse il Marchese – che orrore, un cane che parla, ma dove andremmo a finire mi chiedo a volte.

Capitolo sesto “il migliore amico di se stesso”
DeVeer sedeva vicino al fuoco, nella locanda. Pensieroso, perché dall’incontro con la vecchia non riusciva a togliersi dalla mente le sue parole. Ai suoi piedi Gino rosicchiava i resti della cena del Marchese. Ai piedi di Gino Olmo rosicchiava i resti della cena di Gino.
DeVeer rimirava gli anelli della mano sinistra quando la vide.
Una vera visione, mora, snella, alta, inguanita in un elegante vestito verde. Il giovane nobile si alzò di scatto e corse verso la ragazza seguito da Olmo, che curioso per natura gli corse dietro.
Tra DeVeer e la donna si erse una montagna d’uomo. Grosso, bruto, sgraziato, coperto da una cotta di maglia logora, in mano un pesante randello. La tipica guardia del corpo insomma.
- Oh, belllo, n’dovai? Stati lontano dalla Baronessina tu e quella petecchia di gatto.
- Bauuuu, io sono un cane – rispose Olmo.
- Cane, gatto è stessa cosa – ribadì la guardia come se parlare con un cane (o gatto) fosse la cosa più comune del mondo.
La Baronessina si avvicino fissando il giovane nobile con aria civettuola e disse:
- Ma che bel cagnolino, come si chiama
- Olmo – disse subito DeVeer prendendo Olmo per la collottola ed alzandolo di peso – Glielo regale se permette.
- Che dici sei pazzo – gli disse Olmo girando la testolina e cercando di morderlo.
- Sta buono. Questa sera vai alla finestra della camera e apri il battente, così posso entrare da questo angelo.
- No, scordatelo.
- Ti do una moneta d’oro.
Olmo, che per una moneta d’oro avrebbe venduto anche sua madre si mise a lanciare uggiolii e fare le feste alla bella Baronessa che lo prese subito in braccio.
Ore dopo il Marchese si arrampico con una rosa tra i denti, trovata la finestra aperta entrò in camera e si diede a corteggiare la ragazza.
Ma sul più bello, quando dai baci si stava per passare a qualcos’altro….
- Bauuuuu, bauuuuu, è qui presto, prendiamolo.
Olmo irruppe nella stanza seguito dalla mastodontica guardia del corpo.
- Olmo infame – urlò DeVeer scandalizzato – perché mi hai tradito?
- Bauuuuuu, quello mi ha offerto due monete d’oro – rispose la bestia.
DeVeer schivò un colpo di bastone, con una capriola oltrepasso il letto mettendolo tra se e lo scagnozzo. Nel mentre la Baronessina urlava, stringendosi la vestaglia al petto.
Il marchese schivò un secondo colpo, ma Olmo ringhiante gli si avventò alla caviglia. DeVeer roteò la gamba con forza spedendo il cane parlante in aria. La bestia colpì la giovane urlante al petto ed entrambe finirono giù dalla finestra. La guardia del corpo girò la testa seguendo con lo sguardo il volo della sua protetta ed il giovane guerriero ne approfitto per caricarlo a testa bassa. Oltrepassarono la porta e rotolarono giù dalle scale, scendendole a pelle di leone.
DeVeer fu il primo ad alzarsi e corse in sala, seguito dall’omone armato di randello. Tutti i presenti li fissarono ammutoliti. Gino stava ancora mangiando.
- Gino – urlò il Marchese – lanciami qualche cosa con cui possa difendermi da questo bruto.
Il grasso servitore lanciò al padrone la cosa più marziale che aveva, un osso di prosciutto.
- Gino – disse DeVeer afferrando al volo l’osso - dobbiamo parlarne prima o poi di questa tua ossessione per il cibo.
Il Marchese impugnò l’improbabile arma a mo di spada.
Parata, risposta, schivata, fendente, affondo, parata, risposta.
L’osso di prosciutto colpì pesantemente sul naso l’omone.
Con l’avversario momentaneamente fuori combattimento DeVeer compì una ritirata strategica.
Poco dopo, in sella a Furioso, il Marchese vagamente indispettito e fuori dal suo solito buon umore riprese Gino con durezza.
- Gino non presentarmi più cani parlanti, quale che sia il loro lignaggio. Traditore e puzzone, ecco cos’era quell’Olmo. Il migliore amico dell’uomo….., e meno male. Quello al massimo era il migliore amico di se stesso.

Capitolo settimo “ Andrew Handerson DeVeer vs Alton Trevor DeMum”
Dopo le disavventure della sera precedente il giovane Marchese DeVeer cercava di affogare il malanimo generatogli dal cane parlante in un abbondante dose di rosso della casa.
Indossava stivali da cavallerizzo neri, alti al ginocchio, ampi pantaloni di seta verde ed una camicia gialla che era un vero pugno negli occhi.
Anche la notte precedente aveva sognato la vecchia e le sue insidiose parole. ‘lL’incontro con la corpulenta guardia del corpo poi gli aveva procurato una certa rigidità alla mascella. L’incontro interrotto con la baronessina fastidiose rigidità d’altra natura. Nel complesso non era di umore particolarmente pacifico. Ad essere onesti non lo era quasi mai, ma quella sera meno di altre volte.
La porta della locanda si aprì di colpo vomitando in mezzo alla sala uno smilzo ometto di mezz’età rivestito di una livrea nera e gialla.
L’ometto si mise ad urlare: Ed ora entrerà onorandoci della sua presenza il nobile Alton Trevor DeMum, Visconte di Morghenhauss, Barone di KalMavar e Primo Cavaliere dell’ordine delle spade.
DeVeer gettò la coppa di vino e si alzò di scatto con aria feroce, mentre l’altro nobile entrava nella sala comune.
Mentre guardava il suo atavico nemico farsi avanti DeVeer vide una vita di rivalità passargli davanti agli occhi.
….un piccolo DeVeer correva spalla a spalla con un altrettanto piccolo DeMum nell’ultimo tratto della grande corsa invernale. I due ragazzi si sgomitavano e spingevano mentre il traguardo era sempre più vicino….. un DeVeer appena più grande entrava nella grande sala da ballo sfoggiando un magnifico completo di seta rossa solo per trovarsi davanti il giovane DeMum vestito con un completo quasi identico…. DeVeer ormai grande si avvicinava alla tavola del Barone Tvor, al braccio della bellissima baronessina Irene e girandosi vedeva scendere dalla scalinata DeMum al braccio di Teresa, la gemella della sua fidanzata…
I due si fissarono con aria feroce mentre l’atmosfera si faceva elettrica.
- Gino – disse DeVeer con tono basso – annuncia la mia presenza a questa specie di ape (i colori ancestrali dei DeMum sono il giallo ed il nero).
- Non serve che ti faccia annunciare DeVeer, ho raggiunto la locanda seguendo la scia di gente che rideva del tuo abbigliamento.
Ci fu un attimo di gelo, poi i presenti sparirono con velocità miracolosa, un po’ per paura di finire in mezzo ad una lite tra due nobili, un po’ per paura che DeVeer, prendendo alla lettera le parole dell’altro, pensasse che avessero realmente riso del suo abbigliamento che ad essere sinceri quel giorno era per lo meno originale.
- DeMum – fece DeVeer con tono duro – in un pollaio non c’è posto per due galli, specie se uno dei due non è un gallo ma un pollo –
A quel punto anche Gino e l’ometto nero e giallo scapparono dalla locanda mentre l’oste si chiudeva a chiave nella sua camera e si nascondeva sotto il letto pregando per la sua anima.
Fuori,al gelo, la folla attendeva fissando la locanda con crescente ansia. Le ore passavano ma nessuno dei due nobili si faceva vedere. Il freddo aumentava mentre la notte sfumava verso l’alba.
Alcuni villici si fecero vicini ai servitori.
- Che si saranno uccisi a vicenda – disse uno?
- Bè ormai avranno finito di scannarsi. No? – fece un altro
- Andate a vedere cosa sta succedendo – dissero tutti ai due paggi.
- Si, vai – disse l’ometto in livrea gialla e nera a Gino
Il bambinone, pur impaurito, si fece coraggio e camminò guardingo verso la locanda. Quando fu vicino sentì delle voci. Dopo un lungo momento di esitazione entrò dalla porta e li vide….
DeMum e DeVeer erano uno davanti all’altro, seduti ad un tavolo, quasi nudi, con le carte in mano, ai loro piedi mucchi di vestiti.
- Tre fanti – sussurrò DeMum buttando le carte sul tavolo con aria trionfante.
- Tre donne – rispose DeVeer tronfio gettando in faccia al rivale le regine.
DeMum si alzò di scatto e togliendosi le braghette disse con sfida.
- Per oggi hai vinto DeVeer, ma non finisce qui-
E nudo come la Viscontessa l’aveva fatto si diresse verso l’uscita chiamando a gran voce il suo servitore.












































LIBRO SECONDO
Se sei a Roma comportati da Romano


DeVeer ed il fido Gino dopo altre mirabolanti avventure giungono infine alla capitale dove il Marchese acquista un permesso di portare armi ad un prezzo veramente folle.

Capitolo ottavo “l’oro non fa la felicità ma curiosamente l’argento si”
L’anacoreta arringava la folla in piedi su una botte, vicino alla porta principale.
Era un uomo magro e sporco, dall’aria consumata e dallo sguardo fanatico, che portava un logoro saio stretto in vita da una corda di canapa.
Urlava con voce rocca alternando minacce a preghiere.
Vecchi, donne e bambini dall’aria misera lo guardavano con interesse borbottando e seguendo ogni sua parola. Un uomo magro sedeva schiena al muro fissando il vecchio sulla botte ed annuendo piano.
- e ricordate che l’oro non fa la felicità – urlò l’anacoreta alla fine della predica.
Proprio in quel momento un bambino grasso arrivò di corsa, si mise davanti alla porta in mezzo alla strada principale e prese ad urlare:
- Ed ora entrerà onorandoci della sua presenza il nobile Andrew Handerson DeVeer, Marchese di Vanhoffen, protettore della valle di Horn e Cavaliere dell’antico ordine del Leone-
L’anacoreta si zitti e la folla si girò mediamente perplessa.
L’uomo magro si alzò barcollando per sbirciare sopra le teste.
Nel silenzio assoluto entrò un giovane di bell’ aspetto, dall’aria boriosa, in sella ad un cavallo nero di bell’aspetto, dall’aria boriosa.
Il fisico muscoloso era inguainato da una veste verde di taglio impeccabile, la spada dall’elsa bordata d’oro in una fodera d’argento.
Il giovane si fermò.
Li a cavallo in mezzo alla strada il giovane guardava la folla che guardava il giovane che guardava la folla che guardava il giovane.
Silenzio.
In lontananza si sentiva il rumore della sega di una distante bottega.
Silenzio
Il Marchese mise una mano in tasca, prese una manciata di monete d’argento e le lanciò alla plebe che prese ad urlare felice
- Evviva il Marchese
- Viva i DeVeer
- Lunga vita ai DeVeer
Il Marchese sorrise contento e spronò il cavallo passando a discreta velocità tra la gente festante, tanto che un bambino fini tra gli zoccoli e rimedio un trauma cranico.
Il predicatore impietrito sulla botte fissava rabbioso nobile e plebei urlanti, stringendo i pugni ossuti.
Gino guardò il Marchese, poi la folla poi l’anacoreta ed ancora il Marchese.
A questo punto ebbe un pensiero insolitamente arguto per i suoi standard
“ l’oro non fa la felicità, ma curiosamente l’argento si”.



Capitolo nono “ potvestve stave dalla Contessa Fvanca mia sovella”
DeVeer ci mise tre giorni a trovare la casa del conte amico del padre.
Non che fosse difficile seguire le indicazioni scritte sulla pergamena. Solo che il Marchese non voleva abbassarsi ad un’attività umile come leggere un indirizzo e Gino era analfabeta.
Una volta DeVeer aveva cercato di farlo istruire ma era come cercare di insegnare ad un cavallo come si va in canoa.
Trovarono l’abitazione del nobile per caso grazie all’infallibile fiuto del grasso servitore ed alla passione del conte per le brioche calde.
Il Marchese consegnò il messaggio, fece i suoi convenevoli e cercò di svignarsela, infatti erano giorni che non infilzava nessuno a fil di spada e gli prudevano le nobili mani.
Il conte si rivelò però un osso duro attaccandogli un bottone tremendo peggiorato da un terrificante difetto di pronuncia.
- Pevché le nostve famiglie… bla bla bla…. Infatti già il nonno di mio nonno eva cugino del nonno del vostvo pvozio….. bla bla bla… -
All’improvviso la conversazione prese una piega pericolosa, o pevicolosa come avrebbe detto il conte.
- Cavo Mavchese potvestve stave dalla Contessa Fvanca, mia sovella … bla bla-
DeVeer fu allarmato perché il conte era sui cinquanta e probabilmente la sorella era una vecchia pantegana ossigenata con la r moscia ed in cerca di marito.
- Meglio la morte- Si disse – magari una morta eroica. Lottando contro un vampiro, anzi, un drago, oppure contro un Demone, si un Demone. –
DeVeer si vide lottare eroicamente contro il demone e poi essere portato in fin di vita da una folla commossa ed osannante e poi… si accorse d’un tratto che il conte aspettava una sua risposta in un imbarazzato silenzio.
-Bè, -si disse,- io , un eroe, quasi un santo che ha dato la vita lottando contro un demone posso forse essere così meschino da deludere questo ometto?. E poi se ho sconfitto un demone potrò ben tenere a bada una vecchia zitella acida. –
Magnanimo ed eroico acconsentì al conte e solo dopo essere uscito dal palazzo si rese conto che dopo tutto con il Demone non è che proprio ci avesse combattuto e tutto sommato era vivo e non morto.
Indispettito disse a Gino che lo seguiva.
- Gino, invero siamo stati astutamente ingannati, ma sia mai che un DeVeer si rimangi la parola data. –
Gino che si sarebbe mangiato e rimangiato pure quella se avesse potuto lo guardò interdetto.
Poi questo accenno al rimangiare (cosa che implicava tra l’altro l’aver già mangiato) gli mise un certo appetito.
- Ho fame – disse
I due si guardarono negli occhi.
Il Marchese scoppiò a ridere e disse
- Gino sei un brutto senz’anima –
E poi aggiunse con tono appena triste.
- Comunque sei l’unico ricordo che mi rimane di tua sorella e mi prenderò cura di te per quanto sia assurdo che giri in giro con un servitore di tal fatta. Certo è a dir poco incredibile che una donna così bella e brillante possa avere un fratello come te. –
Gino fece un’aria triste, tanto che DeVeer per un attimo pensò anche lui fosse perso in nostalgici ricordi, ma questi subito il ragazzo lo smentì ripetendo.
- Ho fame –
- Gino, tu ti sei mangiato pure l’intelletto – ridacchio il Marchese tornando allegro.
Andarono in una bettola li vicino.
Mentre Gino si sfamava DeVeer consultò il vademecum del duellante per vedere se qualche clausola gli impedisse di sfidare una donna di mezza età.

Capitolo decimo “… dunque dicevo ho la manica scucita”
DeVeer arrivò alla casa della Contessa e controvoglia mandò Gino a bussare.
Sorprendentemente ad aprire fu una bellissima donna bionda, sui venti, alta e snella ma anche formosa.
DeVeer ripresosi all’istante scavalcò il grasso servitore con un balzo e con il migliore dei suoi sorrisi disse:
- Ma io non pensavo, non potevo sapere di questa bellezza, di questo splendore. Mi par impossibile aver pensato diversamente-
Presa la giovane donna per mano la trascinò fin al salotto stordendola con un fiume di stupidaggini e sempre tenendole le mani la fece sedere vicino a se.
Dopo circa un’ora furono interrotti da un anziano maggiordomo.
- Il Signor Marchese mi perdoni ma La signora Contessa inizia ad essere impaziente di conoscerla e comunque la sarta avrebbe del lavoro da fare…-
DeVeer si in rigidi e disse con voce neutra e formale
- Si dunque dicevo ho la manica scucita…. Quindi quando potrete due punti mmmmh, grazie-
Quindi alzandosi imbarazzato segui impettito il servitore fino ad un’altra stanza dove una vecchia pantegana ossigenata bardata da gara e truccata fino al ridicolo lo attendeva
La vecchia disse con fare civettuolo:
- Cavo Machvese finalmente ho il piaceve di conoscevla di persona. Evo impaziente e comunque mai avvei pensavto che un uomo potesse itevessavsi tanto alla savtovia.-

Capitolo undicesimo “ … e incontrai un gorilla di 300 kg”
DeVeer cenava annoiato con la vecchia pantegana ossigenata ed alcuni anziani nobilotti.
Avevano deciso che ognuno avrebbe raccontato a cena l’impresa più eroica della sua vita e tra battaglie e duelli più o meno inventati tutti avevano parlato tranne il giovane Marchese.
Finito l’ultimo racconto ad opera di un vecchio scheletrico che si stentava a credere avesse mai avuto la forza in vita sua di sollevare una spada tutti si voltarono verso DeVeer, famoso per essere il più inutilmente sanguinario ed insensatamente feroce guerriero dell’impero.
Il Marchese mise giù il bicchiere e si schiarì la gola.
- Dunque, vediamo la più eroica impresa della mia vita…. In verità ce n’è solo una di veramente eroica, per il resto mi sono solo limitato ad ammazzare gente e questa è una cosa che faccio per passare il tempo più che altro.
Dunque mi ero innamorato di una donna, la amavo da pazzi in un modo che non pensavo possibile. L’avrei sposata all’istante ma una grande distanza ci separava e poi era fidanzata con un altro scopri. Lei a dire il vero non mi contraccambiava ed io stavo veramente impazzendo dal dolore per quell’amore contrastato. E lei che era buona e dolce come un angelo ci soffriva a vedermi star male, ad essere la causa sia pur involontaria della sofferenza di qualcuno.
Così io ho imparato a far finta di non soffrire, di essere allegro. Per non vederla più piangere e non farla star male ho finto di dimenticarla e mi sono anche fidanzato con un’altra. E per questo ho suscitato il suo disprezzo ed oltre ad ingoiare il mio dolore ho ingoiato pure quello. -
DeVeer si interruppe e guardandosi attorno vide i volti stupefatti ed increduli dei presenti. Allora si riprese, assunse la sua solita aria boriosa e divertita ed aggiunse:
- Ma questa era la premessa, la storia inizia quando per schiarirmi le idee andai a fare una passeggiata nel bosco ed incontrai un gorilla di 300kg…..-
Tutti si rilassarono e presero a seguire il racconto inventato sui due piedi con autentico interesse,

Capitolo dodicesimo “ guardi come giocano “
AHHHH AHHHHH AHHHHHH
Le urla di DeVeer riempivano la stanza.
Il nobile seduto perdeva sangue da numerose ferite mentre Gino arretrava tenendo un affilato coltello sanguinante nella grassa mano.
- Gino ordunque non sono un prosciutto.- disse DeVeer arrabbiato – quando imparerai a radermi senza scannarmi?-
Gino guardò il nulla con occhi vacui e ripete con aria sognante
- Prosciutto-
Poi si scosse e seguì il Marchese che scendeva veloce dalle scale
- Ma che bella sciapva vossa Signor Marchese- disse la contessa Franca incrociando il suo ospite.
- Grazie – Rispose il Marchese, aggiungendo poi a bassa voce- Ma che sciarpa e sciarpa vecchia pantegana ossigenata, ti farò io una sciarpa così un giorno di questi…-
DeVeer aveva sognato un’altra volta la vecchia ed i suoi discorsi e quel giorno era di umore pessimo anche secondo i suoi nobili canoni.
Si reco prima in piazza, poi in una rinomata locanda del centro quindi nel parco del castello… e li vide passeggiare la baronessina, che aveva incontrato durante il viaggio e con la quale aveva avuto un turbolento incontro.
Stava per raggiungerla quando vide trotterellarle attorno il suo arcinemico.. Olmo, il cane parlante.
- Gino, c’è il nostro temibile nemico, qui occorre un piano-
Riflette per quasi un minuto e mezzo, un tempo interminabile per un uomo d’azione quale lui era e poi ebbe un’idea eccezionale.
Il Marchese attraversò mezza città quasi di corsa fino a giungere nei pressi della arena, nelle stalle dove venivano tenuti gli animali destinati a combattere negli spettacoli domenicali.
Spargendo monete a destra e sinistra arrivò davanti al maestro dei canili.
L’uomo, grasso e sfregiato, con il naso rotto troppe volte ed una benda al posto dell’occhio destro si inchinò davanti al nobile chiedendosi cosa diavolo ci facesse li un Marchese.
- Buonuomo- disse DeVeer con aria sinistramente pensosa- mi serve un cane, ma un cane di una ferocia spaventosa. Avete quello che mi serve? non bado a spese.-
Il guardiano dei canili fece portare i mastini che combattevano contro gli orsi, ma DeVeer non li degnò di uno sguardo . Fece portare il caneleone delle steppe e poi il lupo vampiro delle paludi, ma il giovane nobile scarto anche quelli.
DeVeer era un po’ sconsolato non trovando quello che cercava quando sentì un urlo che faceva gelare il sangue provenire da dietro una porta di acciaio.
- Cosa è stato?- chiese – cosa tenete chiuso la dentro?-
- Messere – disse l’uomo grasso con aria spaventata – li c’è Sanguinario. Una volta combatteva contro i leoni nell’arena ma lo abbiamo fatto smettere perché era tropo feroce.Gli altri gladiatori stavano male nel vederlo lottare. -
Sentendo il suo nome la bestia rinchiusa prese a colpire la porta di metallo con la violenza di un ariete da guerra.
Tutte le stalle tremarono sotto la potenza di quelle testate.
- Lo compro – disse DeVeer con aria folle.
Il maestro dei canili si fece il segno del martello ed arretrò di un passo pregando.

Il giorno successivo DeVeer passeggiava amabilmente lungo il viale quando “per caso” incrocio la bella baronessina ed il suo seguito.
- Baronessina, ma che piacere insperato incontrarla - disse togliendosi il capello – dopo il nostro ultimo incontro non ho fatto che pensare a lei… -
Il Marchese si interruppe quando Olmo si frappose ringhiando tra lui e la donna.
- Vedo che ha ancora il cagnolino. Olmo, ciao, lo sai che ho anche io un cane ora. Gino, porta Sanguinario, facciamogli conoscere Olmo.-
Gino arrivò portando alla catena un cane grosso come un cavallo piccolo. La bestia aveva uno sguardo folle, schiumava dalla bocca irta di zanne ringhiando in modo sinistro.
Olmo vide la bestia infernale ed il ringhio si trasformò in un sorriso forzato mentre una goccia di sudore scendeva lungo la fronte pelosa.
- Volete fare amicizia ? – chiese DeVeer togliendo la catena alla bestia – va bene, va Sanguinario, corri, gioca. -
Olmo si girò e parti in una corsa disperata seguito dalla belva latrante.
- Guardi come giocano- disse DeVeer alla dama prendendola sottobraccio.

Di Olmo non si seppe più nulla. Si dice che si rifugio nelle fogne e che divenne il re di una tribù di pantegane parlanti.
La relazione tra DeVeer e la giovane nobile divenne invece uno scandalo impossibile da ignorare. La donna era fidanzata con un signorotto locale, che ebbe la cattiva idea di chiedere conto al Marchese della situazione… ricavandone una palla di pistola tra gli occhi. Stessa fine fece il padre di lei, mentre il fratello ed il cugino del defunto fidanzato vennero passati a filo di spada. La donna colta dal rimorso e dall’orrore di essere motivo di una simile strage si rifugiò in un convento ma questo non migliorò la situazione e ben presto i cimiteri di famiglia delle due caste e di quelle imparentate con esse presero a popolarsi di nuovi ospiti.
L’imperatore stesso intervenne per mettere fine a questo fiume di sangue.
Un regno alleato, a nord, era in guerra con un’orda del caos.
L’imperatore aveva raccolto un esercito di disperati, mercenari, vagabondi e taglia gole e più per sbarazzarsi di loro che per aiutare il vicino si apprestava a mandarli in soccorso degli alleati.
Al duplice scopo di fermare lo sterminio di nobili a cui ormai si assisteva quotidianamente per le vie della capitale, e di incanalare in modo costruttivo le doti marziali del giovane Marchese, Sua Maestà serenissima Imperatore di Algevorf e Primate dell’Ordine d’Oro chiamò alle armi Andrew Handerson DeVeer, Marchese di Vanhoffen, protettore della valle di Horn e Cavaliere dell’antico Ordine del Leone.






































LIBRO TERZO
Per dare la caccia ai lupi serve un cane che per metà sia lupo


Capitolo tredicesimo ” il mercato”
DeVeer era eccitatissimo.
Gino era in piedi dall’alba a trafficare con l’equipaggiamento da battaglia del padrone mentre il giovane Marchese girava da solo per il mercato, vestito in un modo imbarazzante per tutta la razza umana con accostamenti di giallo, verde ed arancione talmente dolorosi a vedersi da poter essere considerati un’arma essi stessi.
Il nobile stava comprando una quantità di pallottole per pistola che poteva quasi essere sufficiente per l’intera guardia imperiale quando vide la vecchia indovina cieca che già aveva incontrato durante il viaggio e che perseguitava da mesi i suoi sogni.
La vecchia iniziò ad avanzare verso di lui.
- Buongiorno signora – disse DeVeer togliendosi il capello – qual buon vento la porta qui nella strada delle armi, articolo alquanto inusuale per la di lei persona?. Sapete che presto partirò per la guerra, su al nord contro le orde del demone del mutamento. –
- Lo so – disse la vecchia – per questo sono qui, per darti un messaggio da parte di una persona che vuole dirti una cosa a questo riguardo –
La vecchia si concentrò, girando gli occhi ciechi all’indietro nelle orbite fino a farli sparire e poi parlò con una voce che non era la sua, la voce di una giovane donna morta da tempo.
- Andrich metti fine a questo orrore, a tutto questo scempio che devasta il mondo degli uomini, fallo per amore mio. –
Andrw Handerson DeVeer arretrò come colpito, sbiancando in volto. Poi annui con espressione insolitamente seria.

Capitolo quattordicesimo “ il palazzo”
Il consiglio di guerra imperiale aveva preso tutte le decisioni riguardanti la spedizione in quattro minuti, tutte tranne una apparentemente secondaria su cui si discuteva ormai da sei ore … dove collocare il Marchese DeVeer.
Il titolo nobiliare imponeva il comando di un reggimento ma i rampolli delle casate cittadine si erano già accaparrati tutti i posti papabili. Metà dei nobili presenti poi aveva un qualche parente morto per mano del bellicoso DeVeer e questo non li disponeva particolarmente bene verso quello che era oltretutto considerato un nobile di campagna.
A sbloccare la situazione fu un’idea geniale del gran Siniscalco, Primo Maggiordomo nonché Maestro di Cerimonie (tutti titoli che lo rendevano quanto mai adatto alla scelta dei comandanti militari per una spedizione di guerra).
- Raccogliamo i flagellanti[1] in un reggimento e diamone il comando a DeVeer- disse
L’imperatore ne fu mediamente scandalizzato.
- I flagellanti sono quasi peggio del nemico che vanno a combattere e li mando a nord solo per toglierli dalle mie terre. Oltretutto hanno fatto fuori gli ultimi tre ufficiali che abbiamo mandato a guidarli e si dice che uno se lo siano addirittura mangiato- Disse
Tutto il consiglio di guerra sogghigno contento a queste parole e due minuti dopo un paggio fu spedito da DeVeer con una bolla imperiale che lo nominava Luogotenente imperiale per il nuovo reggimento di fanteria leggera

Capitolo quindicesimo “ …io giuro…”
DeVeer giunse all’alba al campo, chiamiamolo così, del suo “reggimento”. Campo era veramente una parola grossa, sembrava di più un lebbrosario o un qualche tipo di ricovero per mendicanti.
Bambini nudi e galline scheletriche correvano per quelle che una volta erano strade ed ora erano fogne a cielo aperto. Gli uomini, erano magri, sporchi, dall’aria malata, coperti di stracci ed armati per lo più di bastoni e flagelli di vario genere con cui percuotevano se stessi e gli altri. Pregavano, parlavano, mangiavano,defecavano sparsi tra le baracche senza ordine di sorta.
Gino avanzava solenne, tenendo alta una lancia da cui garriva la bandiera di VanHoffen. Il ragazzo indossava una corazza di cuoio rinforzata con borchie di bronzo, ed in testa aveva un elmo troppo grande a forma di pentola. L’armatura era drammaticamente stretta sulla pancia, dove lottava eroicamente per contenere lo straripare della ciccia del bambinone, in compenso era larga in modo ridicolo in tutti gli altri posti. Nel complesso sembrava che un martello gigantesco avesse schiacciato un guerriero colpendolo dall’alto verso il basso quasi spiaccicandolo.
Gli uomini scheletrici guardarono il grassone con fame, e forse lo avrebbero fatto allo spiedo se questi non avesse tenuto nella mano libera il guinzaglio di Sanguinario, il gigantesco mastino folle, ex gladiatore ed idolo delle folle.
Il marchese seguiva poco distante in sella a Furioso, il suo nero cavallo da guerra.
Gino prese fiato ed urlò:
- Ed ora scenderà da cavallo onorandoci della sua presenza il nobile Andrew Handerson DeVeer, Marchese di Vanhoffen, protettore della valle di Horn e Cavaliere dell’antico ordine del Leone-
La folla ostile si radunò a semi cerchio attorno ai nuovi arrivati.
Il nobile scese agilmente da cavallo.
Per l’occasione indossava una tenuta insolitamente sobria.
Pantaloni e giacca di cuoio neri, stivali e guanti di cuoio nero rinforzati con placche metalliche.
Una corazza di acciaio brunito, decorata con i simboli araldici della casata copriva per intero il busto, legati con un laccio alla schiena cerano un piccolo scudo circolare di metallo nero ed un elmo completo da cavaliere.
Alla cintura, oltre ad un lungo coltello a doppia lama, c’erano due eleganti pistole da duello, al fianco la spada.
Ma non la solita spada da duello.
Forgiata in una notte di luna piena da un armaiolo folle, con il metallo di un meteorite, temprata nel sangue di un Troll ed affilata da un nano cieco in una caverna buia, Miracle Blade 7, la mitica spada da battaglia dei DeVeer, in grado di tagliare armature, spade e anche mattoni e pesce congelato.
Un uomo gigantesco, coperto solo da pergamene sacre di diverse fedi religiose, con al collo un teschio di bue ed una grossa pietra legati tra loro con spesse funi si fece largo tra la folla.
In mano teneva un’enorme scure, gli altri flagellanti si scansarono con il rispetto dovuto ad un capo.
L’uomo si piazzo a gambe larghe davanti al giovane nobile e disse:
- Ti ci hanno mandato per comandarci? Finisci nel pentolone assieme al grassone, cavallo e cane. Questa sera si mangia bene. –
Il Marchese non rispose. Prese le pistole gemelle, punto, armò i cani e sparò in un unico movimento.
Le due palle di piombo sbriciolarono simultaneamente entrambe le rotule del gigante che si accasciò urlando.
Il nobile si mise in piedi sulla sua schiena usandolo come piedistallo.
- Io sono Andrew Handerson DeVeer – urlò a pieni polmoni – e giuro che non avrò pace fino a che non avrò ucciso ogni servo del caos, ogni seguace del male che cammina su questa terra o striscia sotto la sua superficie. E dopo che li avrò eliminati tutti attraverserò i portali del caos e metterò a ferro e fuoco il posto che vomita queste orde di dannati sulla mia terra. Chi è con me, chi mi vuole seguire in questa impresa urli il mio nome.-
Dopo un attimo di silenzio la folla esplose in un urlo assordante.
DEVEEEEER



Capitolo sedicesimo “ forse abbiamo creato un mostro”
Nel palazzo imperiale si stava facendo una festa. L’imperatore giocava a mosca cieca con i suoi dignitari, gli eunuchi e le concubine.
Gli echi di un urlo lontano disturbarono il gioco, come un tuono distante rimbombò nell’aria un grido.
DEVEEEER
Il ciambellano si tolse la benda e guardò la finestra con aria meditabonda.
- Forse abbiamo creato un mostro- disse colto da una sorta di premonizione.
Ma i suoi doveri di corte lo richiamarono all’ordine, rimise la benda e continuò a giocare.















LIBRO QUARTO
L’essenza di una campagna militare sono i rifornimenti


Capitolo diciassettesimi “ bruciori di stomaco”
Il vecchio Marchese DeVeer fissava la lettera posata sul tavolo cercando il coraggio di aprirla, mentre i bruciori di stomaco crescevano.
Da quando il suo esagitato figliolo era andato alla capitale periodicamente arrivavano missive, ed erano sempre dispiaceri.
O conti assurdi da pagare, come quello di 200 ghinee d’oro per l’acquisto di tre pappagalli ballerini.
O nobili infuriati che maledivano la casata dopo qualche duello sanguinoso o qualche figlia svergognata.
Questa aveva l’aria di un conto da pagare, ormai il vecchio aveva un sesto senso per distinguere le fatture, e visto che si avvicinava il temuto momento dell’inizio della primavera, periodo in cui il nobile rampollo cambiava il guardaroba, il conto avrebbe avuto dimensioni catastrofiche.
Già dall’autunno il vecchio DeVeer stava accantonando i proventi della nuova miniera d’argento a questo scopo, ma sarebbero bastati?
Bevve un bicchiere di grappa a 93 gradi e prese la lettera aprendola poi con mani tremanti.

Caro babbo.
Come forse già saprai il nostro grazioso imperatore ha deciso di chiamarmi sotto le armi e di mandarmi a nord alla testa di un reggimento di nuova creazione.
Al fine di meglio preparare i miei soldati per la spedizione ho deciso di comprare 390 punte di lancia, tre tonnellate di farina di terza qualità e trenta balle di quella stoffa grezza che si usa per i sacchi.
Ho anche acquistato una tonnellata di armi assortite recuperate da una nave affondata nel porto fluviale, sono un po’ mal messe ma molti degli uomini del reggimento erano artigiani e credo potranno trarci qualche cosa di buono.
C’è la piccola formalità del conto da pagare, sole 500 ghinee
Piccolo costo se paragonato all’importanza della missione ed alla gloria che essa porterà alla nobile casa a cui entrambe noi apparteniamo con orgoglio.

Il vecchio marchese rimase incredulo e rilesse la lettera tre volte.
Bevve un altro bicchiere e quindi la rilesse, non cambiava.
- Solo 500 ghinee. Ma è un miracolo! Posso finalmente ricostruire il vecchio ponte ed il mulino….. – Urlò infine.
Capitolo diciottesimo “ un brutto risveglio”
La giovane sorella dell’imperatore si alzò vezzosa.
Si vestì, nel senso che rimase immobile fino a che non fu vestita dalle sue serve, e quindi mise gli adorabili piedini nelle pantofole di pelle di Koala, importate da un lontanissimo continente dominato dagli elfi, e pagate l’equivalente di mille anni di stipendio di un artigiano.
Corse quindi alla finestra per vedere un’altra volta il piccolo bosco di alberi ferro che gli era stato regalato per il suo quindicesimo compleanno e che aveva fatto piantare in un posto visibile dalla sua finestra, dove sfortunatamente prima c’erano le case di alcuni vecchi servitori ora sloggiati e messi a vivere nelle stalle.
Aprì le finestre e rimase impietrita dall’orrore.
Gli alberi dritti, sottili e duri come il ferro erano spariti.
Caccio un urlo e svenne.
I giardinieri imperiali costatarono che qualcuno nella notte aveva tagliato 390 alberelli.

Capitolo diciannovesimo “ il pianto dei bimbi”
La carrozza percorreva i viali della città vecchia.
Si sentivano continuamente pianti ed urla di bambini.
L’anziano nobile ascoltava pensieroso ed alla fine chiese al servitore che lo accompagnava:
- Gustavo, perché piangono questi bambini? Hanno fame? –
- Non più del solito Signor Conte – rispose questi – sembra che da qualche giorno stiano sparendo cani e gatti e non si sa dove finiscano. Si dice che siano spariti anche i due barboncini albini della signora Marchesa VanFil-
Capitolo ventesimo “ questa è Coccola”
L’ispettore imperiale si diresse scortato dall’anziano Paggio al campo dei Flagellanti.
Inspiegabilmente DeVeer alloggiava in una tenda tra di loro e quindi per parlare con il Marchese si doveva andare tra quella gente bestiale e rivoltante.
Attraversando il campo vide dei cambiamenti che lo colpirono.
Innanzi tutto vi era una sorta di ordine.
Le strade erano strade ed erano state scavate delle latrine, e tutti indossavano una sorta di uniforme di tela grezza.
Ovunque erano state create gabbie di vimini su cui vi erano ad essiccare strisce di carne, e molti uomini conciavano pelli di piccole bestie (i cani scomparsi? si chiese il notabile) e vi facevano calzari e guanti per l’inverno.
In un angolo degli altri uomini montavano punte di lancia su quelli che sembravano sinistramente fusti di giovani alberi ferro.
Finalmente arrivarono alla tenda di DeVeer, questi parlottava con alcuni uomini ed un bambino grasso.
- Gino, va a controllare tra le carcasse, vedi se c’è quel farabutto di Olmo. Maledetto non so come hai fatto a fuggire a Sanguinario ma…- si interruppe vedendo arrivare l’ispettore.
- Carissimo- disse con un sorriso – come posso aiutarla?
- DeVeer, in città succedono strane cose e tutte le strade portano qui- rispose questi senza mezzi termini.
- Trovo assurda ed offensiva questa affermazione- rispose il Marchese con un sorriso malsano- e per dimostrare che non ho nulla da nascondere le farò fare il giro del mio campo. Coccola, vieni-
Apparve dalla tenda una formosa ragazza bruna di bell’aspetto, coperta con due strisce di stoffa.
Coccola, meglio conosciuta come Coccola la Zoccola, ex prostituta, nota ninfomane si era unita ai flagellanti perché la sola idea di marciare con 800 uomini le provocava orgasmi multipli.
Guardò il nuovo venuto con aria sensuale e rapace.
- Coccola – disse il Marchese – fa fare al signor ispettore un giro del campo, e che sia completo e soddisfacente-
Coccola prese per il bavero il nuovo venuto
- Vieni ispettore, Coccola ti fare un bel giurio. Partiamo dalla mia tuenda, Da?-
Mentre l’ispettore spariva con Coccola l’anziano paggio guardò il Marchese con intensità.
- Voglio unirmi a lei - disse – io non volevo fare il paggio, volevo fare il guerriero, mia mamma mi ha obbligato. Diceva che dopo tutto quello che aveva speso per farmi studiare dovevo fare carriera nella pubblica amministrazione. Ma ora che è morta voglio seguire il mio istinto e fare il guerriero. –
DeVeer lo guardò perplesso, l’uomo aveva almeno cinquant’anni se non di più
Poi pensò che per uno che girava con un cavallo che sembrava la cavalcatura del diavolo, un cane uscito dall’inferno ed un paggio grasso e ritardato uno scudiero che poteva essere suo nonno era il giusto tocco di colore che ancora mancava.
A sera l’ispettore tornò in caserma.
Aveva l’aria distrutta, era pallido e pieno di morsi.
- E’ tutto apposto al campo, tutto apposto- disse con aria sfinita al suo superiore che lo guardava con fare interrogativo.
Quindi cadde addormentato.

Capitolo ventunesimo “ la festa”
La spedizione fu pronta per partire all’inizio della primavera.
L’Imperatore diede una festa per salutare gli eroici nobili partecipanti ma DeVeer stranamente non era dell’umore giusto per far baldoria e per una volta di defilò e si mise a passeggiare da solo per il giardino.
Si fermò a fissare le stelle pensieroso, ma un lieve rumore alle sue spalle lo fece girare.
Una ragazza molto giovane e molto graziosa era poco dietro di lui.
I capelli rossi ricadevano a cascata su un abitino blu, blu come i grandi occhi che fissavano il Marchese.
- Sei uno degli uomini buoni che va ad uccidere i cattivi?- Chiese con aria civettuola tra l’ingenuo ed il malizioso.-
- Vado ad uccidere i cattivi- rispose DeVeer- ma temo di non essere buono.
- Allora perché vai a combattere l’orda del caos?-
- Sarei comunque andato a combattere per il gusto di combattere. Perché mi piace farlo e comunque non so fare altro. E poi magari era la volta buona che qualcuno o qualche cosa mi ammazzava. Invece andrò per uccidere i cattivi. Non perché sono buono ma perché me lo ha chiesto una persona buona, a cui non posso dire di no-
- Che strano. Erano mesi che sentivo parlare del borioso, rissoso, arrogante e folle Marchese DeVeer. Non me lo aspettavo così. Un Marchese famoso per essere un infame duellante non dovrebbe essere un po’ meno serioso?.
- Non lo so. E la sorella piccola dell’imperatore non dovrebbe essere meno sfacciata?-
I due si guardarono negli occhi e scoppiarono in una grassa risata.
- Vieni – disse la ragazza prendendo DeVeer per il braccio.
Camminarono per un po’ fino ad arrivare davanti ad un boschetto di alberi ferro appena piantato.
- Se spariscono anche questi ti faccio incarcerare- disse la ragazza.
Scoppiarono nuovamente a ridere.










































LIBRO QUINTO
In guerra ed in amore tutto vale.


Dopo una settimana di marcia DeVeer si stacco dall’esercito chiedendo di procedere su una strada parallela.
Visto che nessuno sopportava lui ed i suoi flagellanti (fatta eccezione per Coccola) gli altri comandanti furono ben felici della cosa e le due colonne si diedero appuntamento al fiume che divideva l’impero dal regno vicino.
Correva voce che già un’orda del caos fosse arrivata nei pressi del confine ed avesse tagliato la strada principale tra le due nazioni. Forse si sarebbe dovuto combattere per oltrepassare l fiume.
Il nuovo percorso portò il Marchese davanti alla maggiore prigione imperiale della zona.

Capitolo ventunesimo “ volontari”
DeVeer discuteva da un tempo insopportabilmente lungo con il direttore della prigione. Erano infatti ormai tre minuti abbondanti o forse addirittura quattro che l’ometto gli si opponeva.
Con uno sforzo represse l’istinto di sfidarlo a duello.
Schiocco le dita.
L’anziano scudiero gli porse una pergamena che lui porse al funzionario
- Buonuomo – disse – questo è un decreto imperiale che autorizza me, Marchese Andrew Handerson DeVeer ad arruolare per la campagna in corso qualunque volontario ne faccia richiesta-
- Ma questi non sono volontari – rispose l’altro stizzito – sono carcerati –
- Per ora – disse il Marchese – ma sono invero sicuro di risvegliare il loro patriottismo. Quale uomo potrebbe resistere al richiamo della guerra? Chi potrebbe negare la sua vita alla patria, ed al nostro grazioso imperatore che vigile veglia su noi e le nostre case? Coccola per cortesia, chiedi ai signori galeotti se alcuni o tutti loro vogliono unirsi all’armata imperiale.-
La ninfomane partì con aria agguerrita verso l’interno del carcere.
Ne risultò che 504 detenuti ed una ventina di guardie si offrirono volontari. A restare con il direttore furono in sostanza i soli carcerati della terza baracca, i quali si fregiavano del misterioso nomignolo di “le sorelle”.
Pure le armi, i picconi e tutti gli altri attrezzi di lavoro che con un po’ di fantasia potevano diventare armi, pure il cibo e la cassa del carcere si offrirono volontari per seguire DeVeer verso nord.
La colonna ripartì lasciando dietro di se un carcere vuoto ed un direttore in lacrime.

Capitolo ventiduesimo “ una missione importante”
DeVeer, vestito di un completo di seta grigia, sedeva con eleganza su una sedia pieghevole piccola ma sfarzosa, sorseggiando vino da una coppa d’argento.
Davanti a lui stava un ometto vestito di stracci.
Braccia e viso segnati da cicatrici da coltello, marchio di una vita violenta passata per le strade. Naso rotto troppe volte per avere ancora una forma definita, incorniciato da un volto brutto e volgare.
L’ometto si agitava a disagio sulla piccola sedia, grattandosi le punture dei pidocchi e delle cimici.
- Cosa posso fare per voi messere – Disse l’ometto incapace di sopportare oltre il silenzio.
- Tu sei conosciuto come il Ratto, mi dicono le guardie, un maestro del coltello e dell’assassinio. Mi dicono che hai ucciso almeno ventidue persone.-
- Tutti incidenti furono Messere –
- Ventidue incidenti?-
- Si Messere, tutti caderono sui loro coltelli ed io fui incolpato ingiustamente-
- Ratto, non voglio approfondire questa storia degli incidenti anche se sarei alquanto curioso di capire come si fa cadendo ad infilarsi il proprio coltello nella schiena. Ho una missione per te comunque – disse il Marchese buttando un sacchetto di monete ai piedi dell’ometto- una missione importante. Devi far succedere uno dei tuoi incidenti-
Ratto, veloce come l’animale da cui prendeva il nome, prese le monete e le fece sparire tra i suoi stracci.
Poi ebbe un pensiero e fu colto da un dubbio
- Ma Messere perché un uomo di spada come voi che ha vinto tanti duelli vuole assumere il Ratto? Io lavoro sempre per grassi mercanti, per uomini di piccolo coraggio. Perché un uomo grande come voi non usa la spada o la pistola? –
DeVeer a queste parole si alzò di scatto gettando la coppa d’argento di lato.
Gino guardò con aria ebete la coppa descrivere una arco e cadere e quindi lentamente l’andò a recuperare.
Il Marchese si mise ad urlare.
- Perché non posso sfidarlo! Non ha le mani! A cosa lo sfido? A chi riporta il bastone più grosso? A chi sotterra prima l’osso?-
Poi, riprendendo la calma aggiunse
– Ratto, il tuo bersaglio si chiama Olmo, non è un uomo ma bensì un cane parlante, anzi Il Cane Parlante.-
Guardò il Ratto negli occhi e con aria seria e determinata disse.
- Portami la sua pelle Ratto, ed avrai altro oro-

Il reggimento di DeVeer raggiunse gli altri, accampati ormai da giorni davanti al ponte di pietra che collegava le due sponde del Madar, il grande fiume che faceva da confine tra l’impero ed i suoi vicini nordici.
La voce udita giorni prima era vera. Un’armata del caos era scesa tanto a sud da impossessarsi della sponda settentrionale ed ora la teneva saldamente.
Ne l’artiglieria imperiale ne le cariche della cavalleria pesante avevano sfondato le difese e l’orda dei dannati rimaneva padrona del ponte chiudendo la via del nord all’esercito meridionale.
I nobili comandanti dell’esercito ogni di si trovavano per inconcludenti riunioni, i giorni passavano, le provviste diminuivano ed i soldati erano sempre più scontenti.
DeVeer partecipò a tre riunioni, poi fece alzare i suoi uomini nel cuore della notte e marciò per sette miglia verso nord, fino al piccolo guado usato d’estate dai contrabbandieri (molte delle nuove reclute prelevate dalla prigione stranamente lo conoscevano benissimo).
Le acque gelide e la corrente forte avrebbero dissuaso dal tentare l’attraversata qualsiasi essere umano e di buon senso , fortunatamente DeVeer ed i suoi uomini non avrebbero riconosciuto il buon senso neanche sbattendoci contro.
Nel pieno della notte attraversarono le acque tumultuose e gelate, perdendo solo una trentina di soldati. Marciarono verso sud ed un’ora prima dell’alba si trovarono alle spalle dell’armata del caos.
In silenzio formarono i ranghi al riparo di un piccolo bosco e si prepararono alla battaglia.

Capitolo ventitreesimo “ metà uomo, metà orso, metà qualcos’altro”
Le sentinelle, orribili mutanti per lo più, avevano gli occhi, o quel che c’era al posto degli occhi, puntati sul campo imperiale al di la delle acque.
Si accorsero dell’attacco degli uomini solo quando questi avevano raggiunto i margini dell’accampamento.
Oltre un centinaio di dannati morirono nei primi minuti, colti nel sonno, disarmati, impreparati.
Ma quei guerrieri erano più bestie che uomini, e come le belve cui somigliavano si ripresero dallo shock ed assalirono i soldati umani con la folle ferocia che aveva permesso loro di vincere tante battaglie.
Questi però erano umani diversi dagli altri incontrati, poco meno feroci e bestiali di loro.
Lo scontro si fece sempre più selvaggio.
In qualche luogo i mutanti avevano il predominio, specie dove quelli più grandi ed abominevoli combattevano, per lo più però la compattezza degli uomini aveva la meglio.
DeVeer avanzava nella tempesta con la calma misurata dell’esperto spadaccino, seminando morte al suo passaggio.
Dietro di lui, spostato leggermente a destra c’era Gino, che sventolava lo stendardo e continuava a gridare con voce squillante e tono ebete:
- Tremate, state combattendo contro il nobile Andrew Handerson DeVeer, Marchese di Vanhoffen, protettore della valle di Horn e Cavaliere dell’antico ordine del Leone. Tremate non avete speranza di sopravvivere contro il nobile Andrew Handerson DeVeer, Marchese di Vanhoffen, protettore della valle di Horn e Cavaliere dell’antico ordine del Leone
Dietro di lui, spostato leggermente a sinistre c’era l’anziano scudiero, che ad occhi chiusi menava fendenti disperati piangendo, pregando ed invocando la mamma.
Kobak uscì dalla grande tenda di cuoio, rubata anni prima ad un Thane nordico, durante una razzia invernale.
Un tempo anche lui era stato un Thane, ma poi il vento del nord carico di energia magica l’aveva mutato.
Ora giganteschi muscoli gonfiavano le braccia e le spalle arcuate. Ora aveva la pelle dura come il cuoio e coperte da scaglie ossee, le fauci piene di zanne ricurve e gli occhi gialli da lupo.
Metà uomo, meta orso e metà qualcos’altro era stato designato come Zar di questa orda e non voleva certo tornare dal suo padrone sconfitto.
Lanciò un fischio assordante ed al suo fianco apparve la sua cavalcatura, metà toro, metà lupo e metà qualcos’altro.
Balzò in sella.
Dall’alto della sua bestia da guerra studiò la battaglia alle prime luci dell’alba ed immediatamente individuò il campione degli umani.
Puntò la sua cavalcatura verso il guerriero che aveva scelto di uccidere e partì alla carica, ma un cane enorme e ferocissimo spuntò dal nulla avventandosi al collo della bestia da guerra.
Kobak fu sbalzato a terra, rotolò su se stesso e si alzò agilmente snudando le sciabole gemelle che portava ai fianchi. Il guerriero che voleva uccidere era poco davanti a lui.

DeVeer vide Sanguinario assalire una bestia mutante e sbalzarne il cavaliere.
Questi riuscì a rialzarsi e si piazzò davanti a lui impugnando due sciabole identiche.
I due si guardarono negli occhi per un istante.
Gino e lo scudiero scomparvero come per magia. Corsero fino allo sfinimento, cioè per otto metri.
I due combattenti si lanciarono l’uno contro l’altro, i colpi si susseguirono così veloci che l’occhio umano quasi non riusciva a distinguerli.
Spada contro sciabola, sciabola contro scudo, sciabola contro elmo, scudo contro muso zannuto, sciabola contro corazza, spada contro sciabola, spada contro pelle scagliosa.
DeVeer e Kobak si staccarono ansimando e sanguinando, studiandosi attentamente.
La battaglia quasi si era fermata mentre i combattenti guardavano i loro capi battersi.
Migliaia di occhi seguivano la scena in un reverenziale silenzio.
Il Marchese d’improvviso gettò lo scudo verso il muso bestiale dell’altro. Una sciabola si alzò per deviare l’oggetto metallico.
Il nobile prese una delle pistole da duello, mirò e tirò il grilletto in un unico movimento.
I riflessi sovraumani del mutante quasi gli permisero di parare anche la palla di piombo… quasi.
La sciabola si alzò fulminea, ed il colpo di pistola diretto alla gola colpì la mano unghiuta, sbriciolando ossa ed elsa e piantandosi nel polso.
DeVeer impugnò Miracle Blade 7 a due mani e si avventò sull’essere ferito con un fortissimo colpo dall’alto in basso.
La spada da battaglia dei DeVeer spaccò la sciabola del dannato, alzata in una disperata quanto inutile parata, in due. La lama lo tagliò letteralmente a metà.
Le due parti diseguali caddero ai piedi del marchese.

Con la sconfitta del loro zar i mutanti persero coraggio ed iniziarono a fuggire a piccoli gruppi nelle campagne circostanti inseguiti dai flagellanti vittoriosi.

Capitolo ventiquattresimo “ venghino signori venghino”
Le truppe imperiali furono svegliate alle prime luci dell’alba da rumori di battaglia.
Prima si diffuse il panico, si temeva infatti un attacco notturno dell’orda del caos.
Poi si capì che non era un assalto ma qualcos’altro.
Le truppe si schierarono e per ore rimasero davanti al ponte indecise sul da farsi mentre i nobili comandanti si consultavano come loro solito.
All’improvviso una figura tarchiata prese a correre sgraziatamente sul ponte verso di loro.
Giunto davanti all’esercito schierato il grassone si mise ad urlare con voce stridula:
- Il nobile Andrew Handerson DeVeer, Marchese di Vanhoffen, protettore della valle di Horn e Cavaliere dell’antico ordine del Leone si compiace di invitarvi ad attraversare il Suo ponte e visitare il Suo campo.-
L’esercito rimase immobile ed interdetto incapace di credere a quello che aveva udito.
Gino rimase sconcertato nel vedere quell’immobilità e cercò disperatamente qualcosa da aggiungere per rompere quello stallo.
Gli venne in mente quanto sentito da un imbonitore una volta quando da piccolo era stato portato al circo dalla sorella.
- Venghino signori – aggiunse infine – venghino –


L’esercito imperiale rimase quasi un mese nella zona, per ripulirla completamente dalle bande di mutanti che ancora vagavano per la regione.
Una mattina un messo imperiale raggiunse DeVeer con una lettera.

Capitolo venticinquesimo “ La lettera”
DeVeer armato con un bastone cercava di insegnare le basi della scherma al suo anziano scudiero.
- No, no, NOOOO. Ma è possibile che ancora impugni lo scudo alla rovescia? –
Il messo imperiale si avvicinò rispettoso presentandosi.
- Una lettera per me dalla corte imperiale?- disse DeVeer lasciando cader il bastone – bene, leggimela – aggiunse all’indirizzo del messo sedendosi su una bassa sedia e prendendosi da bere.


Carissimo Marchese
Da quando siete partito a corte si parla di voi, e da quando avete vinto la battaglia del ponte addirittura si parla bene di voi.
Quasi tutti si sono dimenticati la storia dell’evasione di massa e quelle antipatiche voci di ruberie.
Il mio augusto fratello si è spinto a dire qualcosa del tipo “ in fondo in fondo non è proprio un farabutto”.
Non posso ancora dire di essere fiera di voi ma in compenso ho quasi smesso di vergognarmi di voi.
Bravo, continuate così-
Sua serenità imperiale
Imperatrice Khatrina Beckenbahuen

Giusba tre Mogli, ex detenuto per bigamia multipla ex flagellante ora luogotenente del Marchese si avvicinò al nobile sussurrandogli nell’orecchio:
- A Marchè, me le donne le conosco, questa porta uno sacco di grane. State accorto. E ricordate. Meglio è uno dito nell’occhio e l’altro into culo che una donna che vuole comandare. E questa Marche già cià sta cosa che è imperatrice, e ora pure salta fuori che sa scrivere. Questa porta un sacco di grane.-














































LIBRO SESTO
Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare


I nobili comandante dell’armata imperiale lasciarono DeVeer andare all’avanguardia, convinti che le continue scaramucce ne avrebbero logorato le forze.
Ma il modo del Marchese di fare la guerra era molto, molto diverso da quello tradizionale.
Il reggimento avanzò nelle terre devastante, arruolando chiunque fosse in grado di stare in piedi ed impugnare un’arma.
Mercanti scampati alla distruzione delle loro carovane. Contadini in fugga dai villaggi devastati. Schiavi delle miniere, galeotti, briganti. Fu arruolato pure un gruppo di prostitute prelevate da un bordello.
I soldati di DeVeer combatterono una dozzina di piccole battaglie spazzando via altrettante bande di razziatori.
Le armi furono distribuite, cibo e denaro requisiti.
Sotto la sopraintendenza dell’anziano scudiero i guerrieri del Marchese iniziarono ad avere pasti e paga regolari, una cosa mai sentita prima.
I mercenari lasciarono gli altri reggimenti per correre a marciare sotto la bandiera di un capo tanto generoso.
Gli avventurieri corsero ad arruolarsi nelle file di un corpo famoso per le continue vittorie.
Molti guerrieri di professione diventarono sottufficiali e piano piano durante l’estate la loro esperienza e le continue battaglie trasformarono le reclute in soldati saldi e disciplinati

Capitolo ventiseiesimo “ Gino contro l’uomo elefante”
DeVeer era andato ad assalire il vicino campo di dannati, segnalatogli quella notte dagli esploratori.
Aveva portato con se quasi tutti i suoi guerrieri lasciando Gino e pochi altri indietro con le provviste , le salmerie ed i carri dei malati.
Gino sedeva su una botte, mangiando la colazione composta da ciambelle di lardo cotte nel burro ed intinte nel miele.
Dai boschi emerse una banda di dannati che immediatamente si gettò sulle guardie lasciate di scorta ai carri ed ai feriti.
A guidarli c’era il temutissimo uomo elefante, famoso come il più orrendo dei mutanti.
Un soldato, veterano di molti scontri, cercò di colpirlo con una lancia ma questi lo spazzò via con un colpo di proboscide.
Con la spada brandita nella mano umana decapitò un secondo guerriero e si fece strada verso i carri.
Gino fissava la scena inebetito, dimentico delle ciambelle.
L’uomo elefante prese a lottare con un terzo umano, e nella foga della battaglia con il piede elefantiaco schiacciò i sacchi in cui erano contenute le costine di maiale affumicate.
- Noooooooooo – urlò Gino inorridito balzando dalla botte
– Noooooo, perchèèèèèèèèèèèèèèè - urlò lasciando cadere la ciambella mentre con le lacrime agli occhi vedeva le sue amate costine calpestate a morte.
- Bastardoooooooooooooooooo – urlò disperato.
Prese la lancia che usava come stendardo con le mani tozze e sempre piangendo ed urlando partì alla carica.
- Me la pagherai, vi vendicherò – Urlava piangendo il grasso bambinone.
La punta di lancia spinta dal peso di Gino colpì l’uomo elefante proprio sotto la coda, entrando in profondità nell’ano.
L’orrendo mutante barri di dolore e prese a correre imbizzarrito con l’asta sventolante la bandiera dei DeVeer che gli sporgeva dal retro.
Gli uomini inneggiarono a Gino, riprendendo la lotta…. Ma questi non fu in grado di esultare.
Con il cuore spezzato, in ginocchio, tra le lacrime contemplava lo scempio.
- Non vi ho potuto salvare- continuava a ripetere disperato.

Capitolo ventisettesimo “ …. sono Roberto Lucamatteo Guid’Alberto”
Un giovane avventuriero, appena giunto al reggimento, stava cercando di convincere DeVeer a prenderlo come scudiero.
Era un ragazzo magro, pelato, con gli occhi storti ed un buco tra gli incisivi.
- Ragazzo come ti chiami?-
- Io sono Roberto Lucamatteo Guid’Alberto-
- Tutto da solo?-
- Si, bè mio padre aveva cinque fratelli ed una sera che era ubriaco ha promesso a tutti che avrebbe chiamato il primo figlio maschio come loro e … bè io ho otto sorelle…-
- Uomo di parola tuo padre, ma comunque non ho bisogno di uno scudiero-
- Ma io so no molto bravo… io so fare tante cose-
- Tipo?-
- Parlo tre lingue-
- Non mi interessa-
- So leggere e scrivere-
- Non mi interessa-
- So.. so fare il salto mortale all’indietro-
DeVeer guardò il ragazzetto incuriosito.
- Salto mortale all’indietro…. Vediamo-
Il Marchese fece fermare la colonna e si sedette sulla sua seggiola pieghevole.
Tutti i guerrieri si misero a mangiucchiare le gallette guardando il ragazzo.
Roberto Lucamatteo, per tacere il resto del nome, si piegò su se stesso come una molla quindi con un balzo all’indietro fece il suo salto mortale, andando a cadere proprio al centro del piccolo sentiero.
Giusto in quel momento un orrendo mutante arrivò di corsa, barrendo, da dietro la curva.
Dal di dietro gli spuntava un’asta da cui sventolava la bandiera dei DeVeer.
L’essere schiacciò Lucamatteo con una zampa elefantiaca e proseguì la corsa sempre barrendo.
Il Marchese sconcertato guardò la scena e commento.
- Non avevo mai visto una cosa simile… assurdo, ha veramente fatto un salto mortale all’indietro! Va bene, ripartiamo-
Il Marchese si alzò mentre l’anziano scudiero correva a piegare la seggiola e rimetterla nel bagaglio.
L’esercito si alzò, mise via le gallette e si rimise in marcia.
Passando vicino al corpo schiacciato DeVeer sussurrò:
- Assunto-
Alle prime nevi le forze imperiali si unirono all’esercito del Re del Nord. Dopo sei mesi di lotte le bande dei dannati si erano unite in un’unica armata, ora schierata poco lontano dai resti bruciati di una piccola città.
Il giorno della battaglia, nel campo degli uomini, le forze native si schierarono alle ali lasciando il centro ai guerrieri del sud.
La notte prima durante una burrascosa riunione gli imperiali avevano deciso lo schieramento.
I nobili imparentati con la casata imperiale, quelli che comandavano la cavalleria avevano preteso la prima linea in virtù del loro sangue.
I nobili minori comandanti della fanteria regolare avevano allora chiesto la seconda fila e DeVeer e la sua legione di disperati erano rimasti nella terza ed ultima schiera. La meno desiderata ed onorevole, la più lontana dalla gloria.
Il Marchese schierò i suoi lancieri in una falange compatta tenendo attorno a se, per riserva, i trecento guerrieri più pazzi ed esaltati. Tutti montati su cavalli “requisiti” durante la campagna estiva.

Capitolo ventottesimo “… DeVeer, DeVeer, DeVeer”
La cavalleria imperiale fu avvolta da una nebbia innaturale.
In qualche modo i cavalieri individuarono lo schieramento nemico e partirono alla carica.
I cavalli lanciati al galoppo, le lunghe lance, le corazze pesanti… Spazzarono via la prima fila di dannati e poi incapparono in una stretta e profonda trincea che spezzò le zampe a molti animali e blocco la carica.
A loro volta gli imperiali furono caricati da squadroni di cavalieri neri usciti da un incubo.
Braccia multiple, volti bestiali,armature nere. In sella a cavalcature deformi e gigantesche munite di corna e aculei.
I dannati spinsero gli imperiali addosso alla fanteria della seconda linea che arrivava di corsa per aiutare i compagni in difficoltà.
Lo scontro divenne una bolgia furiosa, un immenso corpo a corpo in cui i reggimenti imperiali armati di picche, archibugi e balestre non trovarono lo spazio di combattere come erano stati addestrati a fare.
Dopo un ora le truppe imperiali in rotta cercarono di ritirarsi verso la terza fila, le truppe di DeVeer, rimaste immobili ed in formazione compatta dall’inizio dello scontro.
Il Marchese diede l’ordine di serrare le fila ed abbassare le lance.
Non permise alle truppe in rotta di mischiarsi alle sue file e di disordinare i ranghi.
Alcuni soldati imperiali cercarono di aprirsi la strada tra le truppe schierate, e furono uccisi dai compagni, altri si voltarono a combattere i dannati in arrivo, e furono spazzati via.
Pochi riuscirono a fuggire verso le ali, togliendosi dalla morsa che stava stritolando i resti di quei reggimenti che solo poche ore prima erano partiti dal campo fiduciosi e baldanzosi.
L’orda del caos si schiantò come un’ondata sui soldati del Marchese.
Come un bastione di ghiaccio, come un muro di ferro questi ressero ed i dannati si ritirarono per preparare una seconda carica.
Le ultime file della falange imperiale, fresche, presero il posto delle prime.
I dannati tornarono a caricare, e poi ancora, e poi ancora, per tre volte, ed ogni volta furono respinti.
Dopo la quarta carica, i guerrieri del caos in ritirata videro lo schieramento nemico aprirsi, mentre nell’aria risuonava un urlo.
“ DeVeer, DeVeer, DeVeer”
Il Marchese carico a fondo assieme ai suoi trecento uomini il nemico che ripiegava, e furono i dannati a fuggire, cadendo a migliaia sotto i colpi delle pistole e delle sciabole. I nordici si unirono ai cavalleggeri imperiali nell’inseguimento.
L’orda dei dannati fu sterminata, i resti respinti nel nord profondo da cui erano giunti.

DeVeer, visto che la stagione era avanzata, decise di svernare nel settentrione, presso i resti della città bruciata, che fu ricostruita e trasformata in un campo militare.
I nordici provvidero al cibo, molti feriti e sbandati furono recuperati assieme ad una montagna di armi ed armature.
Nel corso dell’inverno il Marchese fece esercitare i suoi tutti i giorni ed aggiunse alle sue forze molti guerrieri nordici per natura nomadi e portati a schierarsi con il capo più ricco e vittorioso.
In pochi mesi le forze del nobile di VanHoffen divennero la più temibile macchina da guerra delle terre degli uomini.
Un giorno arrivò un messo imperiale con una lettera.

Capitolo ventinovesimo “ La lettera due”
DeVeer armato con un bastone cercava di insegnare le basi della scherma al suo anziano scudiero.
- No, no, NOOOO. Ancora, lo scudo alla rovescia? Ma è pazzesco –
Il messo imperiale si avvicinò rispettoso presentandosi.
- Una nuova lettera per me dalla corte imperiale?- disse DeVeer lasciando cader il bastone – bene, sentiamo, leggi – aggiunse mettendosi un manto di pelliccia.

Carissimo Andrew

E’ giunta voce della vostra grande vittoria nel nord.
Non è chiarissimo come mai tutti gli altri comandanti siano morti in battaglia, ma nonostante i lutti qui a corte è festa grande.
Vostro padre è stato invitato alla capitale per brindare con sua grazia mio fratello ai vostri successi.
Ho avuto modo di conoscerlo ed abbiamo parlato molto di voi.
E’ molto orgoglioso ed ancora più sorpreso di avere un figlio tanto eroico.
La persona di cui mi avete parlato, quella che vi ha chiesto di uccidere i cattivi sarà anche lei molto orgogliosa di voi.
Spero non sia una donna, altrimenti inizierò ad essere gelosa.

Sua serenità imperiale
Imperatrice Khatrina Beckenbahuen

Giusba tre Mogli, scosse la testa:
- A Marchè, me le donne le conosco, questa mo ve chiama pure per nome proprio. Come se foste lo suo omo. Marchè, questa porta un sacco di grane state accorto..-











































LIBRO SETTIMO
Buon sangue non mente


Da lontano sembrava ancora un uomo.
Un tempo lo era stato, quello e molto altro.
Nobile d’origine, famoso spadaccino, stimato teologo e studioso della legge.
Aveva combattuto il male per anni, scacciando dalla valle di Horn un Lord minore del Caos e fondando un ordine di monaci guerrieri che ancora esisteva dopo secoli, l’Ordine del Leone.
Poi aveva volto il suo sguardo verso nord e verso est, verso le Lande Desolate popolate da demoni e dannati.
Accompagnato da uno squadrone scelto di cavalieri votati alla causa dell’ordine era penetrato nelle terre maledette facendosi strada combattendo tra ogni genere di creatura vomitata dall’inferno.
Era giunto fino ad un tempio di alabastro in mezzo al nulla, una cattedrale immensa, bella ed orribile allo stesso tempo. Tempio e casa di Izgakan, il Demone Cieco.
Era entrato assieme ai suoi seguaci votati all’ordine, assieme a potenti maghi ed alti prelati.
La battaglia era durata un giorno intero, ed in quel giorno aveva scoperto che le preghiere e la purezza di cuore non bastavano a sconfiggere la magia nera e la forza ultraterrena di un Signore degli Inferi.
Tra tanti solo lui era stato risparmiato dal Demone Cieco.
Per secoli era stato imprigionato nel Gheena, tra i tormenti e le urla dei dannati, e poi ne era uscito, cambiato nel corpo e nell’animo. Convertito come diceva lui, o plagiato come avrebbero detto altri.
Era diventato il primo campione di Izagakan, ed aveva guidato la legione di dannati che Egli aveva messo a sua disposizione.
Nei secoli le sue vittorie si erano accumulate rendendolo famoso in tutte le Lande Desolate.
Aveva sottomesso o ucciso tutti gli altri campioni del Caos della zona costruendo un regno grande quanto L’impero degli uomini.
Aveva distrutto una fortezza di nani e saccheggiato i tesori contenuti nel cuore della montagna.
Ucciso un Drago e bevuto il suo sangue.
Aveva sottomesso le tribù Norene al confine estremo del mondo degli uomini, trasformando i guerrieri nordici in suoi schiavi soldati.
Poi il Demone Cieco gli aveva svelato un’arcana profezia, da Lui stesso proferita nella notte dei tempi.
Roman Handerson DeVeer aveva scoperto di essere il Prescelto, destinato a porre fine alla stirpe degli uomini, a tutte le stirpi e trasformare quel mondo in un nuovo inferno.
Destinato a guidare l’onda del caos che avrebbe distrutto ogni cosa e fuso tutto e tutti in un qualcosa di nuovo, di diverso.
Quel giorno la sua vita era nuovamente cambiata.
Per decenni aveva preparato la grande invasione, dedicando ad essa tutte le sue energie.
Aveva spedito un esercito contro i Nani del Nord, che ancora gli si opponevano, ed un secondo esercito verso Sud, verso le terre degli uomini.
Con un’armata più piccola si era diretto nelle lande abitate dalle tribù Norene, intenzionato a reclutare un’orda di selvaggi guerrieri barbari da scatenare nel cuore dell’impero.
Poi, in quello che doveva essere l’inizio dell’Era del Sangue era accaduto qualche cosa di impossibile.
Contro ogni possibilità, contro quanto profetizzato dai veggenti, contro quanto scritto dal Demone Cieco nella notte dei tempi tutto era andato a rotoli.
Un’armata di disperati era salita dal sud guidata da un suo diretto discendente, un uomo che sembrava aver ereditato dall’antenato oltre all’abilità con la spada anche il genio militare.
Attorno a lui si erano raccolte le forze dei Re del Nord e l’ala meridionale della legione dei dannati era stata annientata.
La seconda orda aveva iniziato a discendere verso sud per combattere l’altro DeVeer ma i Figli della Roccia erano usciti dalle loro roccaforti colpendo i dannati mentre attraversavano un passo ed infliggendo loro una sconfitta tremenda.
I Noreni, incoraggiati da queste disfatte si erano ribellati, Roman DeVeer era a stento riuscito a tornare nelle Lande Desolate mentre il suo impero andava a pezzi.
Ora, pieno di rabbia e paura stava per varcare nuovamente la porta di bronzo della Cattedrale di Alabastro, dove secoli prima era iniziata la sua nuova vita.
L’armatura nera, fusa alla sua pelle era coperta di polvere e scheggiata.
I capelli bianchi e lunghi scarmigliati e sporchi.
Gli occhi completamente neri fiammeggiavano, le due bocche gemelle sui lati della faccia, dove normalmente si trovano le guance, si aprivano e chiudevano ritmicamente, come impegnate in una muta conversazione, segno che il Lord del Caos stava pensando intensamente.
Spinse con entrambe le mani i pesanti battenti di bronzo, la porta si aprì con sorprendente facilità.
Il guerriero entrò fino a trovarsi davanti ad un gigantesco trono coperto dall’oscurità attorno al quale danzavano piccoli demoni deformi.

Capitolo trentesimo “ un sentimento alieno ed incomprensibile”
Preso dalla rabbia, dalla furia e dalla delusione non si chinò, non si prostrò come ormai faceva da centinaia di anni.
Le due bocche parlarono all’unisono. Una voce forte e profonda ed una acuta e stridula si mescolarono in un tutto unico.
- La profezia era sbagliata – disse – le forze del Caos sono state sconfitte, tu hai sbagliato! -
Un attimo dopo Roman DeVeer prese a contorcersi prenda di un dolore tremendo.
L’agonia durò minuti, poi il corpo del guerriero smise di muoversi convulsamente.
Una voce inumana, sibilante, che non proveniva da nessuna parte prese a sussurrare.
- Non bestemmiare mortale. Io non posso sbagliare. Il futuro non è scritto per sempre come il passato. E’ successa una cosa imprevista che ha spezzato il filo del fato che Io avevo seguito. Una vecchia cieca ha parlato ad un giovane guerriero, un’anima dannata quasi pronta per unirsi a noi, un tuo pronipote destinato a diventare il tuo primo generale. Le parole della vecchia hanno suscitato in lui un sentimento alieno ed incomprensibile per me, che lo ha spinto a cambiare campo all’improvviso. Dal nulla nel cuore marcio dell’impero degli uomini si è creata una nuova forza che sta restituendo linfa vitale ad un corpo che credevo già morto. Il futuro è nel caos e nessuno può formulare una nuova profezia ora, troppe forze si stanno muovendo. Tra poco il giovane DeVeer dovrà affrontare quella che avevo sempre ritenuto l’unica vera minaccia al nostro potere. Mentre queste due forze si scontreranno noi ricostruiremo le nostre armate. Guarda lo specchio.-
DeVeer si alzò respirando in modo pesante e si diresse verso la parete nord interamente coperta da uno specchio d’argento.
Lo specchio di divise in una dozzina di immagini distinte.
In ognuna una diversa orda di dannati marciava seguendo il suo stendardo. Rosso e nero, rosso e giallo, rosso e verde, ovunque il colore del sangue predominava.
La voce sussurrante riprese a parlare.
- Ho parlato con i miei Non Fratelli ed abbiamo deciso di unire le nostre forze prima che questo nuovo potere cambi troppo profondamente il fato. Nel giro di qualche mese tutte le armate che vedi saranno qua, le forze congiunte di tutti noi Demoni Maggiori, i più potenti dei Lord del Caos e le loro truppe. Comanderai il più grande esercito di tutti i tempi-

































LIBRO OTTAVO
Per combattere il male non si usa il bene ma un tipo diverso di male.


Per oltre un secolo era sparito, come inghiottito dalle tenebre che lo avevano generato. Uscito dalla storia ed entrato nella leggenda.
Poi era tornato.
Sul capo la Corona di Ferro, presa al cadavere del padre del vecchio imperatore, su un campo di battaglia lontano nel tempo.
Indosso l’Armatura degli Spiriti, formata da migliaia di borchie a forma di teschio, ognuna in grado di contenere lo spettro di un guerriero ucciso in battaglia dal Portatore, anime perse ed urlanti costrette ad usare quel che rimane della loro forza vitale per proteggere e riparare l’armatura…. fino alla definitiva morte.
Il Re dei Vampiri aveva ripreso possesso del suo vecchio castello e gli altri Principi delle tenebre avevano lasciato le loro bare per unirsi a lui.
Assieme, unendo i loro poteri, avevano rianimato migliaia di veri morti.
Guerrieri defunti da anni si erano aperti la strada fuori dalle tombe ed avevano nuovamente impugnato spade e lance, ormai corrose dalla ruggine.
L’Armata delle Tenebre si era messa in marcia seminando morte e terrore. Una colonna di oscurità seguiva i suoi passi circondandola di una notte eterna.
Lupi mannari e Ghoul erano usciti in massa dalla foresta per seguire l’esercito dei morti seminando ulteriore terrore.
Le regioni dell’est erano piombate nel caos come non capitava da secoli.
Il Duca Portari aveva raccolto le sue forze ed aveva cercato di fermare il Re Vampiro ma era stato disastrosamente sconfitto in una battaglia notturna presso un piccolo lago.
Dopo quella notte il corpo del nobile e dei suoi soldati aveva formato un nuovo reggimento dell’Armata delle Tenebre.
La corte imperiale era stata presa dal panico, mentre la capitale si preparava ad un assedio messaggeri furono mandati a nord, per richiamare in patria il guerriero che aveva sconfitto i dannati e si sperava avrebbe ora sconfitto i morti.
DeVeer rispose all’appello.
Le truppe del Marchese si mossero nel pieno dell’inverno nordico, marciando verso sud ed est ad una velocità incredibile.
Lungo la strada DeVeer incorporò nei suoi reggimenti le guarnigioni superstiti ed i resti dell’armata del Duca Portari.
Arruolò ed armò i profughi.
Centinaia di nobili minori e figli cadetti delle grandi case corsero ad unirsi a quello che stava diventando il grande eroe della loro generazione. I loro stendardi presero a garrire di fianco a quello dei DeVeer.
I fanatici religiosi corsero dai quattro angoli dell’impero per combattere contro i Vampiri ed i loro servitori.
Agli inizi della primavera il Marchese si sentì pronto ad affrontare i non morti e tra i due schieramenti iniziarono le scaramucce. Cavalieri scheletrici su cavalcature non morte duellarono con i giovani nobili imperiali.
Le armate si mossero prima verso ovest, poi verso sud,poi di nuovo a ovest cercando ognuna una posizione di vantaggio sull’altra.
In un’alba fredda vivi e morti si fronteggiarono in una valle tra le colline.

Capitolo trentunesimo “ ….morte ai morti ”
Il Re Vampiro guardava le file dei viventi con il suo lungo cannocchiale.
Erano schierati in una compatta falange, al centro, dietro le prime file vedeva il loro comandante, il famigerato Marchese DeVeer, chiuso nella sua bella armatura a fianco al suo ridicolo portatore di stendardo.
Dopo alcuni minuti passò il cannocchiale al suo attendente.
- Mi sarei aspettato una carica di cavalleria – disse – di norma gli imperiali iniziano così le battaglie. Ma questo Marchese deve essere un uomo prudente e preferisce stare sulla difensiva. E ad essere sinceri gli esploratori ci avevano detto che questa armata non ne aveva poi tanti di cavalieri. Comunque sia li schiacceremo come vermi e poi riempiremo i vuoti nelle nostre file con i loro cadaveri. Date il segnale dell’attacco-
L’armata delle tenebre prese a muoversi in silenzio.
File di scheletri armati di picche e spade avanzarono lentamente contro la falange imperiale.
Dall’altra parte della valle Gino stava mangiando un panino con la salsiccia. Ruminava guardando con aria ebete i morti avvicinarsi.
Da dentro l’armatura di DeVeer provenne la voce dell’anziano scudiero.
- Gino, da il segnale della battaglia, presto-
Gino guardò svampito l’armatura, ricordando all’improvviso che non c’era dentro veramente il suo padrone, ed in preda al panico cercò nella memoria cosa dire. Alla fine urlò:
- … mmmhhhh….morte ai morti-
L’armata imperiale rispose all’inconsueto ordine come era stata addestrata a fare.
Dalle file compatte dei lancieri uscirono balestrieri ed archibugieri che corsero per alcuni metri e poi presero a tempestare di proiettili mortali le schiere nemiche.
Gli scheletri iniziarono a cadere, per sempre questa volta, colpiti da dardi e pallettoni.
Altri non morti presero il posto dei caduti, compattando i ranghi e stringendo sempre più le distanze.
Ben presto i tiratori dovettero tornare nella formazione e le due falangi si scontrarono.
Vivi e morti si affrontarono all’arma bianca.
Il Re Vampiro osservava l’andamento della battaglia sicuro che il superiore numero e l’instancabilità dei suoi avrebbe alla fine prevalso sui difensori, quando all’improvviso udì una tromba suonare ed un rumore di zoccoli al galoppo.
Un corpo di cavalleria, sei o settecento guerrieri pesantemente corazzati, apparve sulla cresta di una bassa collina a sud e caricò il fianco meridionale dello schieramento dei morti, già impegnato nella battaglia contro la fanteria.
DeVeer aveva guidato i suoi cavalieri, di notte, fino ad un canalone nascosto ed aveva manovrato in modo da prendere l’avversario sul fianco.
I morti cercarono di voltare la loro ala per far fronte alla nuova minaccia ma la cavalleria pesante si abbatte sulle loro file come una valanga, mandandole a pezzi e sfondandole.
I cavalieri imperiali proseguirono impegnando le riserve nemiche dietro le prime linee.
Il Re Vampiro guardando nel cannocchiale riconobbe il capo dei cavalieri e capì di essere stato preso in trappola.
Schiumante di rabbia con la sua scorta personale, si mosse verso i nemici per cercare DeVeer ed ucciderlo di persona.
I due generali si videro nel cuore dello scontro.
Il Marchese puntò il cavallo verso il Vampiro e spronò Furioso al galoppo. A cinque metri di distanza estrasse le pistole da duello ed esplose i colpi.
Il non morto si mosse ad una velocità inumana, schivando entrambe i proiettili, poi fece un passo avanti ed allungò il braccio sinistro.
La mano ossuta si piantò sul petto di Furioso lanciato a piena velocità. Il pesante cavallo da guerra fermò la sua carica di colpo come arrestato da un muro, sbalzando di sella il cavaliere che rotolò a terra rialzandosi dopo un attimo spada in mano.
Vivo e morto furono uno davanti all’altro, lame sguainate, entrambe a piedi.
Fu DeVeer ad attaccare lanciandosi in una lunga serie di affondi e fendenti che il vampiro parò o schivò grazie alla sua velocità innaturale.
In una risposta la sciabola del morto strisciò pesantemente sull’armatura dell’imperiale lasciando un profondo solco. La spada da battaglia dei DeVeer calò sul braccio ancora proteso e molte anime perse ulularono scomparendo per sempre ma salvando armatura… e braccio, dal filo della lama.
Il Vampiro colpi il Marchese con una spallata mandandolo a ruzzolare per la seconda volta a terra, ma questi si alzò sorridendo.
- Cos’hai da ridere uomo- disse.
- Un tempo eri famoso come spadaccino, ma dimmi, quanto è che non ti alleni? Secoli? I riflessi inumani, la forza, la tua bella armatura… non bastano a sostituire l’abilità nelle arti marziali.- disse l’uomo estraendo un lungo pugnale
- Mi piaci ragazzo, non ti ucciderò, ti svuoterò le vene e diventerai mio figlio nelle tenebre- rispose il non morto
I due si avventarono nuovamente l’uno contro l’altro.
Il Re menò un improvviso fendente alla testa del vivo.
Il Marchese incrociò con la sua lama l’altra. Usò la forza del colpo per ruotare sui talloni di trecentosessanta gradi e colpire a sua volta con un fendente alla testa.
Il vampiro schivò verso il basso e verso destra andando a sbattere contro un insidioso affondo fatto con il pugnale che il Marchese teneva nella sinistra.
Ancora una volta le anime perse morirono salvando il Portatore.
Il vampiro arretrò stordito e non vide la spada da battaglia dei DeVeer calare verso il basso.
La lama colpì sotto il bordo della cotta di maglia maledetta, mezzo dito sopra i gambali che completavano l’armatura, tagliando di netto l’arto.
Il vampiro cadde urlando.
Cercò di strisciare verso i suoi attendenti ma un pesante scarpone gli si piantò nel mezzo della schiena.
Sentì la lama dell’altro penetrare nella colonna vertebrale strappandogli la vita eterna.

Alla morte del Re Vampiro la colonna di tenebre si disperse, la luce del sole ustionò i vampiri più giovani.
Gran parte dei morti, tenuti nel loro stato di semi vita dal potere del Re, crollarono nella polvere.
I rimanenti furono spazzati via dall’armata dei viventi che avanzò come un rullo compressore annientando le compagnie nemiche che ancora combattevano e spezzando la potenza che i vampiri avevano accumulato nei secoli.

Capitolo trentaduesimo “ guarda cieca”
Dopo la grande battaglia l’armata di DeVeer aveva messo il campo nella valle.
Il Marchese aveva ordinato di fare una montagnola con le ossa degli scheletri distrutti.
All’alba del quinto giorno dallo scontro l’esercito fu schierato a ranghi compatti davanti alla montagnola.
Una vecchia veggente cieca quella stessa mattina entrò nella tenda del Marchese che si preparava ad uscire per parlare ai suoi uomini.
- Ciao ragazzo. Vedo che hai scelto da che parte stare. Hai sconfitto i dannati, ed ora i morti. Cosa farà ancora domani il Marchese DeVeer?-
- Sei una veggente vecchia, perché me lo chiedi, dimmelo tu- rispose il giovane.
La donna si concentrò e dopo un attimo sul volto rugoso apparve un’espressione sconcertata.
- Non ci credo che farai una cosa simile. Non ci credo-
- Non devi crederci. Esci fuori con me e guarda, cieca-
Dicendo questo il giovane guerriero afferro dal tavolo la corona del vecchio imperatore, presa dalla testa del Re Vampiro.
Uscì e salì sulla montagnola di ossa usando una rampa sistemata per l’occasione
La valle si riempì di evviva.
Alzò le braccia per zittire i suoi soldati osannanti e prendere la parola.
- Ho viaggiato per il nostro impero, un tempo potente, ed ovunque ho visto morte, caos e corruzione. Mentre i dannati scendevano da nord per mettere a ferro e fuoco le nostre terre, mentre i morti marciavano da est per distruggere tutti i viventi, la corte imperiale non faceva che sprecare cibo e denaro faticosamente raccolti in inutili feste. Il nostro impero sta morendo, il nostro popolo sta morendo perché alla sua testa c’è solo un gruppo di grassi parassiti senz’anima. Loro sono i veri nemici, quanto e più dei vampiri o dei dannati. Io Andrew Handerson DeVeer dichiaro l’imperatore decaduto, perché incapace di difendere la sua terra. Io dichiaro me stesso Imperatore- concluse DeVeer incoronandosi da solo.
I soldati schierati esplosero in un urlo di gioia, che si ripete quando il loro comandante promise argento e terre per tutti quelli che lo avrebbero seguito e sostenuto.

Nelle settimane seguenti la notizia dell’incoronazione sul campo di battaglia corse per i quattro angoli dell’impero.
Mentre l’armata ribelle marciava sulla capitale i due schieramenti presero a delinearsi.
Dalla valle di Horn il vecchio Marchese raggiunse il figlio portandosi dietro un centinaio di cavalieri e molto oro e cibo.
La gran parte dei nobili si schierarono con l’imperatore ma furono tantissimi i mercenari, gli avventurieri ed i soldati provenienti dalle classi medie e povere che lasciarono i loro padroni per unirsi a DeVeer.
Alton Trevor DeMum, vecchio nemico dell’auto proclamatosi imperatore, fu incaricato dalla corte imperiale di mettere fine alla ribellione.
Raccolto un esercito nell’ovest si mise tra il ribelle e la capitale, mentre dal sud, da sempre fedele alla famiglia imperiale che da li proveniva, un secondo esercito si mise in marcia contro DeVeer.
Un giorno al campo ribelle arrivò un messo imperiale.

Capitolo trentatreesimo “ La lettera tre”
DeVeer armato con un bastone cercava ancora una volta di insegnare le basi della scherma al suo anziano scudiero.
- No, no, NOOOO. Quella era la lama, se impugnavi una spada vera ti eri già tagliato tutte le dita –
Il messo imperiale si avvicinò rispettoso presentandosi.
- Una lettera per me dalla corte imperiale?- disse DeVeer lasciando cader il bastone – bene, dammi.


Andrew Handerson DeVeer

Cos’è questa storia che ti sei dichiarato Imperatore?
Non ci posso credere.
Il freddo del nord deve averti dato alla testa
Spero solo tu non lo stia facendo per impressionarmi.
Sappi che non apprezzo per nulla le guerre civili.
Posso capire che sia imbarazzante per un semplice Marchese frequentare un’imperatrice ma Andrew, ora tu stai veramente, veramente esagerando.

Sua serenità imperiale
Imperatrice Khatrina Beckenbahuen

Giusba tre Mogli, guardò il suo imperatore:
- A imperato,è molto arrabbiata?-
- Non è che si capisce tanto se è arrabbiata Giusba-
- Ma come ve chiama, Andrei come che quell’altra volta?
- No, Andrew Handerson DeVeer-
- Allora è molto arrabbiata, perché la femmina, più lungo è il nome che ti chiama, più la è arrabbiata.





LIBRO NONO
Veni, Vidi, Vinci.


L’armata ribella fronteggiava l’esercito lealista giunto dall’ovest.
I Westroniani si erano messi tra i rivoltosi e la capitale, intenzionati a fare da incudine mentre il martello delle forze meridionali risaliva lungo la strada imperiale per prendere gli avversari alle spalle.
I due schieramenti si fronteggiarono per giorni ma DeVeer non si decideva a dare il via allo scontro, nonostante la preoccupazione dei suoi ufficiali che temevano l’arrivo della seconda armata imperiale prima che quella che li bloccava fosse sconfitta.
Una mattina le armate si schierarono come era già successo tante volte. Quel giorno l’autoproclamatosi imperatore cavalcò da solo tra i due schieramenti fermandosi nel mezzo.
Un mago unitosi alla sua causa aveva lanciato un complesso incantesimo ore prime, rendendo la voce di DeVeer tanto forte da essere udita distintamente per chilometri.

Capitolo trentatreesimo “Andrew Handerson DeVeer vs Alton Trevor DeMum 2, la rivincita”
DeVeer prese fiato e parlò con una voce che sembrava un tuono.
- Io oggi vedo davanti a me migliaia di fratelli ed un solo nemico. Una battaglia tra queste due armate sarebbe una sconfitta per l’impero prima che per uno dei due schieramenti. Non voglio che centinaia di guerrieri umani muoiano per una disputa riguardante il trono. Chi difenderà poi i nostri campi, le nostre famiglie, le nostre case, la prossima volta che i dannati varcheranno i confini delle Lande Desolate se tanti prodi cadono? DeMum risolviamo questo scontro io e te con un duello tra comandanti. Che sia solo il nostro sangue a bagnare questo terreno oggi-
Il Visconte si fece avanti, raggiungendo l’altro in mezzo alle due armate. I due cavalieri si fronteggiarono davanti a migliaia di spettatori silenti. Poi abbassarono le lance e si scagliarono l’uno contro l’altro. Le aste si spezzarono ed i due condottieri misero mano alle spade ed iniziarono a tempestarsi di colpi vicendevolmente.
Dopo alcuni minuti di violento scontro DeVeer fece impennare Furioso. Il nero cavallo da battaglia si alzò sulle zampe di dietro e colpì con un pesante calcio la bestia montata da DeMum.
L’altro animale, un cavallo di razza più bello che robusto, si accasciò su un fianco, seppellendo sotto il suo peso la gamba del cavaliere.
L’aspirante imperatore fece avanzare di qualche passo la sua cavalcatura, si sporse da un lato e vibro un mortale affondo verso il rivale di sempre.
L’anima di Alton Trevor DeMum risalì urlando lungo il filo della spada da guerra fino ad essere risucchiata da una delle borchie argentee dell’Armatura degli Spiriti.
DeVeer fece caracollare il cavallo tra i due schieramenti mentre i suoi soldati lanciavano urla di trionfo.
Si fermò e riprese a parlare con voce tonante.
- Chi di voi vorrà far parte delle mie schiere sarà accolto come un fratello. Gli altri potranno tornare alle loro case dopo aver lasciato le armi ed aver giurato che non combatteranno più contro di me-

Una piccola parte dei nobili e quasi tutti i soldati comuni passarono sotto lo stendardo di DeVeer, gli altri furono lasciati partire.
Nel corso della stessa giornata arrivò al campo una notizia inaspettata. Gli orchi erano usciti in massa dalle foreste ed avevano assalito le terre del sud sguarnite. L’armata che a marce forzate risaliva verso la capitale per affrontare gli insorti aveva invertito la marcia e si apprestava a combattere la nuova minaccia nonostante gli appelli della corte imperiale che continuava a chiedere una battaglia contro l’usurpatore.

Capitolo trentaquattresimo “ .. si vede che gli è venuta sete”
I comandanti di DeVeer esultarono alla notizia dell’attacco degli orchi.
- E’ fatta – si dicevano tra loro – ormai nulla si frappone tra noi ed il trono, festeggeremo la prossima luna nella capitale-
L’aspirante imperatore rimase a lungo silente e pensoso e poi disse.
- Preparate l’armata per la marcia, andiamo a sud, a combattere gli orchi-
Tutti lo guardarono interdetti.
- L’armata del sud da sola non può sconfiggere gli orchi. – aggiunse DeVeer - A che mi serve il trono se la mia gente viene uccisa da quei selvaggi? In cosa sarei diverso da chi oggi siede a corte? Andremmo a sud, ad aiutare il popolo dell’impero contro quello che è il nemico di tutti gli uomini. E poi prenderemmo la capitale. Preparate i soldati per la marcia. Voglio arrivare nelle pianure meridionali entro la fine di questo mese… e lungo la strada raccogliamo ogni goccia di birra, vino e liquore che troviamo. –
Detto questo DeVeer rientrò nella sua tenda lasciando i comandanti a guardarsi molto perplessi.
Fu il vecchio Marchese ad esporre la perplessità di tutti.
- La cosa del trono la posso anche capire, ma… raccogliamo ogni goccia di birra, vino e liquore troviamo??-
Giusba tre Mogli rispose pragmatico come sempre.
- si vede che gli è venuta sete-

DeVeer raggiunse le truppe del Duca Maximilian, protettore del sud, le armate si accamparono diffidenti a pochi chilometri l’una dall’altra.
I due comandanti si incontrarono nel cuore della notte in un piccolo bosco.

Capitolo trentacinquesimo “ Un Duca ed un Marchese”
Un Duca ed un Marchese sedevano su un tronco caduto, in un piccolo boschetto, bevendo birra scura.
- Io apprezzo che tu voglia aiutarmi a combattere gli orchi e scacciarli dalle mie terre. Ma non posso schierarmi con un usurpatore del trono che da generazioni appartiene ad un ramo della mia stessa famiglia.-
- Non ti sto chiedendo questo. Tu sei il protettore del sud, ti chiedo solo di fare questo. Proteggere le tue terre oggi con il mio aiuto, domani con le tue sole truppe. Lascia che siano altri a combattere per il trono.
- Non vedo molta differenza tra schierarmi con te o lasciarti prendere il trono senza fare nulla.
- Io ne vedo una enorme invece. Ti chiedo solo di servire la terra, proteggere le donne, i bambini ed il raccolto. Questo fa il bene dell’impero a prescindere da chi porta la corona.
Il Duca fini la sua birra, guardò le stelle e poi il giovane guerriero che gli sedeva accanto sorridendo.

Capitolo trentaseiesimo “ dovendo scegliere a che imperatore ubbidire ubbidisco a quello che mi dice la cosa che mi va più a genio”
Il Duca discuteva animatamente con il figlio maggiore.
- Questo è tradimento- urlava il ragazzo.
- Tradimento? Ho giurato di proteggere queste terre, e questo faccio. Tradimento sarebbe lasciare la mia gente in pasto agli orchi per correre in aiuto di quel imbelle di mio cugino. DeVeer poteva prendere il trono ed invece è sceso a sud per combattere con noi. L’imperatore, bontà sua, non fa che inondarmi d’ingiurie e minacce per costringermi a lasciare il campo e proteggere la capitale che ora oltre a tutto non corre nessun pericolo. Cosa dovrei fare secondo te, lasciare DeVeer a proteggere le nostre case dagli orchi ed andare a fare parate davanti alla corte nella piazza del palazzo? Poi DeVeer non mi sta chiedendo neanche di schierarmi dalla sua parte in cambio delle sue armate .-
Il giovane Duca rimase in silenzio pensieroso. Il vecchio Duca riprese a parlare.
-Ho due sovrani che ti piaccia o no, e dovendo scegliere a che imperatore ubbidire ubbidisco a quello che mi dice di fare la cosa che mi va più a genio.-

Le armate riunite marciarono contro gli orchi. DeVeer padre ed il Duca cavalcavano fianco a fianco parlando di vecchie storie di quando erano giovani ed entrambe avevano servito nelle armate del vecchio sovrano. All’alba del terzo giorno dall’incontro notturno gli esploratori tornarono riportando la notizia che più avanti lungo la strada una divisione di nani in assetto da battagli sbarrava il passo.

Capitolo trentasettesimo “Stendilo e Sdraialo”
Le truppe umane si schierarono mentre DeVeer consultava i suoi comandanti.
- Nani, nani… non mi sovviene signori se sono nostri nemici o nostri amici. Qualcuno si ricorda se hanno qualche patto di alleanza con la casata imperiale o se sono imparentati con gli orchi?-
- Non mi pare siano alleati dell’Imperatore – rispose il Duca – e quanto alla parentela con gli orchi è un argomento che eviterei con loro. Pare comunque che vogliano parlamentare-
Un araldo nanico venne proprio in quel mentre ad invitare l’imperatore degli uomini al campo dei figli delle rocce.
DeVeer accettò con piacere, e poche ore dopo sedeva davanti ad un gruppo di nani barbuti.
Alcuni in realtà erano nane, furono informati, ma ne l’imperatore nel il suo seguito riuscirono a capire quali potessero essere le signore.
Comandalo, settimo re dei nani del sud era un ospite affascinante e colto.
-… e quindi siamo intenzionati ad adempiere al giuramento di mio nonno. E’ scritto che quando un imperatore guerriero degli umani marcerà contro gli orchi allora i nani gli invieranno un contingente di supporto, e così siamo venuti.-
In quel mentre entrarono due giovani nani leggermente bevuti. Uno scolava una pinta di qualche cosa, l’altro parlava per entrambe.
- A belli, finalmente semo in guera, viva la guera, viva la f.. – accorgendosi che c’erano ospiti si trattenne, poi guardando gli umani aggiunse - anvedi quanto sono alti sti nani del nord..-
Re Comandalo imbarazzato presentò i nuovi venuti.
- Questi sono i miei due figli ed eredi, Stendilo e Sdraialo, scusate i loro modi, hanno studiato in una lontana fortezza del sud, sede di tutti i ministeri della nostra gente ed hanno preso questo odioso accento e questi modi barbari che non riesco a togliere loro.

I tre eserciti ripresero la marcia contro gli orchi, e finalmente divenne chiaro perché DeVeer aveva fatto raccogliere ettolitri di alcolici.

Capitolo trentottesimo “ grande capo tanto bere”
Borka era il più giovane dei capoguerra orchi e come tale guidava gli esploratori.
Era stato lui il primo ad uscire dalla foresta, era stata la sua banda la prima ad affrontare gli uomini.
Avevano marciato per settimane, uccidendo, razziando, bruciando, quasi senza incontrare resistenze. Avevano aperto la strada al grosso delle bande di guerra in cerca dell’esercito del sud che sembrava essere svanito.
Ora nascosti tra le rocce guardavano una lunga fila di carri debolmente scortati.
Borka diede il segnale e decine di orchi uscirono dai loro nascondigli lanciando urla belluine. Lo scontro fu brevissimo. Gli umani morirono o fuggirono lasciando i carri pieni di dozzine di botti nelle loro mani.
Borka dovette usare tutto il suo carisma e la sua forza per evitare che i suoi guerrieri si avventassero sulla preda.
I carri furono portati al grande accampamento.
Migliaia di orchi circondarono i carri mentre il giovane capoguerra portava al condottiero supremo un barilotto.
Il vecchio orco annusò il contenitore, poi lo aprì. Conteneva Rum.
L’orco sorrise.
- grande capo tanto bere- disse con un ruggito prima di iniziare a scolarsi il barilotto.
Fu il segnale atteso da tutti. I guerrieri si gettarono su decine di barili di vino, birra e liquori raccolti per loro lungo metà dell’impero.

Nani ed umani giunsero quella notte stessa al campo.
Le sentinelle ubriache non li videro arrivare, gli orchi storditi dall’alcool non riuscirono ad organizzare una difesa valida.
Molti scapparono abbandonando armi e stendardi, inseguiti dai cavalieri di DeVeer .
Moltissimi morirono sotto le asce dei figli della roccia e le lance dei soldati imperiali.

Dopo la grande vittoria i tre eserciti festeggiarono e si scambiarono doni e promesse di amicizia.
DeVeer fece sapere che il giorno dopo sarebbe partito alla volta della capitale.
Il Duca Maximilian abdico dal titolo e chiese al giovane condottiero di accettarlo come semplice cavaliere.
Il vecchio Marchese abbracciò l’amico di gioventù e lo accolse tra gli ufficiali del figlio a nome di tutti.
I Re dei nani, forse a causa di quanto aveva bevuto, forse esaltato dalla grande vittoria, forse al solo fine di liberarsi dei figli, disse che non poteva offrire l’esercito del suo popolo ma voleva offrire l’aiuto personale della sua famiglia, così Stendilo e Sdraialo entrarono al servizio di quello che ormai tutti chiamavano “Il Vero Imperatore degli uomini”.

Capitolo quarantesimo “ noi semo i meglio nani”
Stendilo e Sdraialo festeggiarono fino all’alba con i loro amici bevendo, urlando e cantando.
Alle prime luci del sole erano gli unici ancora in piedi, e cantavano a squarcia gola in mezzo ad una schiera di ubriachi addormentati.
. … ma che ce frega ma che c’emporta, se dentro er vino c’ha messo l’aqua. E noi e dimo, e noi e famo, c’ha messo l’aqua e non te pagamo-
Un messaggero mandato dal Re venne ad avvertire i due principi del fatto che gli umani stavano per mettersi in marcia.
- A li mortaci suoi quanta fretta che tiene sto imperatore degli omi- disse Sdraialo scandalizzato
- A Sdra, che fammo, annamo? – chiese Stendilo che non era entusiasta della missione.
- A Ste, sto omo è convinto che lui è er più grande gueriero de sto mondo. Noi c’abbiamo na missione, perché NOI SEMO I MEGLIO NANI, noi dobbiamo mostra a sti omi come combatte un nano-
Caricati da questo discorso i due avvinazzati si presentarono davanti a DeVeer.
L’umano dava ordini mentre Gino gli puliva gli stivali.
Nel vedere i due nani sporchi di vino e vomito e puzzolenti come due cinghiali storse il naso e disse.
- Ti prego Gino porta i nostri due nobili alleati al loro posto nello schieramento, cioè sottovento rispetto a quello che occupo io di norma.-
Gino che non aveva idea di cosa volesse dire sottovento li portò in un posto a caso, che per pura fortuna si rivelò essere sottovento rispetto a DeVeer.



















LIBRO DECIMO
La vittoria più grande è quella che si ottiene senza combattere


Tre campagne vittoriose avevano trasformato l’armata di DeVeer in un esercito come raramente se ne erano visti nella storia imperiale.
Mercenari, coscritti, volontari, nobili, soldati appartenuti ad armate sconfitte erano stati fusi dal fuoco delle battaglie e dalla disciplina di una militanza ininterrotta in reparti combattenti efficienti ed affidabili.
L’autoeletossi imperatore poteva ora contare su 1200 cavalieri pesanti, con armatura completa, scudo, lancia, spada e destriero bardato. Molti erano nobili, altri guerrieri comuni a cui erano state date le armi requisite sui campi di battaglia.
Ad affiancarli c’erano più di 3000 cavalleggeri, con armature di cuoio o cotta di maglia, in sella a cavalli più leggeri e veloci ed armati con sciabole, archi ricurvi o pistole.
La fanteria, aveva la sua spina dorsale in cinque reggimenti di lancieri, 15000 uomini armati di lance e spade corte, con grandi scudi di legno ed armature di cuoio, addestrati a combattere in falangi compatte. Ad affiancarli c’erano 5000 tiratori, per metà armati di balestre ed archibugi, per metà di archi lunghi.
Scudieri, servitori, avventurieri e coscritti vari, 9000 in tutto, armati con asce, mazze, pistole e pugnali, completavano le forze appiedate fornendo la fanteria leggera e le truppe di supporto.
A queste truppe l’imperatore poteva contrapporre una sparuta milizia fornita dai nobili ancora fedeli e disposti a rischiare tutto per una causa persa, ed un corpo di mercenari fedeli fino a che lautamente pagati ma pronti ad offrire le loro spade a DeVeer.
L’armata ribelle risali la grande strada ed alla fine dell’estate pose il campo davanti alla capitale. L’accampamento militare formò una seconda città davanti alla prima, ma i ribelli non attaccarono.
Pian piano gli abitanti della capitale iniziarono a superare la paura diffusa ad arte dai lealisti.
I soldati accampati alle loro porte erano disciplinati, ben nutriti e forniti di molto argento. Compravano invece di rubare e seguivano le leggi imperiali più delle guardie cittadine.
Con il passare del tempo all’interno della capitale crebbe sempre di più il numero dei sostenitori del nuovo imperatore, mentre i messaggeri del vecchio, mandati ai quattro angoli dell’impero in cerca di soccorsi venivano gentilmente ignorati.

Capitolo quarantunesimo “ una missione dentro la missione”
- Duca Maximilian…-
- Non sono più Duca, ho abdicato, ora il titolo spetta solo a mio figlio.
- Allora Cavaliere Maximilian. Ho una missione per te, voglio che tu vada alla corte di tuo cugino per organizzare un incontro tra noi due…-
- Non credo di essere la persona più adatta per una missione diplomatica. Mio cugino non ha preso bene le mie decisioni degli ultimi mesi, sarà un miracolo se non mi sbatterà fori senza farmi parlare.-
- Ti farà parlare, perché non ha altra scelta ma comunque non è questa la missione, o meglio, c’è una missione dentro la missione. Forse non sei la persona giusta per parlare con l’uomo che sta portando la mia corona, ma sei la persona giusta per parlare con Khatrina, e portarle questa mia lettera. Fino ad oggi non c’è stata una vera battaglia tra noi ed i sostenitori della casa di cui anche tu facevi parte. Per ora non è una vera guerra civile e se possibile non voglio che lo diventi. Forse c’è un’altra strada, la tua missione è evitare che debba prendere il trono con la forza, lascia che ti spieghi.-

Capitolo quarantaduesimo “ parenti serpenti”
L’imperatore camminava su e giù per lo studio in preda all’ira.
Era vestito con un’elegante uniforme che avrebbe dovuto dargli un’aria marziale ma lo rendeva solamente ridicolo mettendo in risalto il ventre prominente e flaccido e gli arti magri e storti.
Camminava e sbraitava mentre la giovane sorella seduta languidamente su un divanetto attendeva il finire della sfuriata.
- E’ inconcepibile – diceva- mio cugino, sangue del mio sangue. Dio mio, non solo non mi ha difeso ma si è addirittura unito all’Usurpatore. Questo è tradimento. Avrei dovuto farlo impiccare.
- Maximilian è un uomo d’onore – ribatte la ragazza – si sentiva in dovere di ripagare DeVeer per l’aiuto dato alla sua gente contro gli orchi. Non voleva che il Ducato si schierasse contro di te così ha lasciato il titolo ed ha offerto la sua sola spada. Dovresti ringraziarlo-
- Ringraziarlo di che cosa ? – urlò ancora più forte - parenti serpenti, ecco cos’è, ecco cosa siete. Perché anche tu sei così. Dovresti sposarti con un nobile importante, perché questa è la nostra unica possibilità contro quel delinquente. Io non posso avere figli, non lascerò una discendenza e saranno i tuoi bambini ad ereditare l’impero. E poi non sono un guerriero, non posso contrappormi a quel folle. Devi trovare un marito che possa farlo. Ed invece che fai? Gli fai gli occhi dolci, gli scrivi. Credi che non sappia di questa tua ridicola tresca con quell’avventuriero sanguinario di cui chiacchiera tutta la corte?-
- Se fosse un avventuriero sanguinario siederebbe sul trono da un mese e la tua testa sarebbe appesa su una picca davanti alla porta grande – rispose la ragazza calma.
Khatrina si alzò e si avvicinò al fratello prendendolo per mano e portandolo a sedere vicino a se.
- Fratello, l’impero era in declino ed allo sfascio, lo sai anche tu. Sei un uomo portato per le arti e le lettere ma non sei un guerriero e neanche un politico. – dopo un attimo di pausa aggiunse - L’opera del nonno e di papà si stava disfacendo a vista d’occhio. I nobili maggiori erano sempre più indipendenti e riottosi. La corruzione degli ufficiali imperiali famosa ed irrefrenabile. Senza DeVeer oggi fuori dalle porte ci sarebbero i morti o i dannati, o forse gli orchi, e loro non ti chiederebbero un incontro per parlare.-
- Allora cosa dovrei fare? – chiese l’uomo disperato tenendosi il volto tra le mani- arrendermi? Lasciare che rubi alla nostra casa la corona?-
- Dovresti parlargli. Sentire cosa vuole e trovare con lui una soluzione che non porti altra morte e dolore alla nostra gente- rispose la ragazza – Forse non sei un guerriero ma non sei un vigliacco e neanche un egoista. So che riuscirai a trovare la cosa migliore per noi e per la nostra gente. –

Capitolo quarantatreesimo “ due chiacchiere da uomo ad uomo”
Il luogo fissato per l’incontro fu un piccolo giardino di un tempio appena fuori dalle mura cittadine.
Il guerriero e lo studioso si sedettero uno davanti all’altro con una bottiglia di vino sul tavolino tra loro.
Entrambe indossavano una veste elegante di taglio militare.
Uno era piccoletto e panciuto, con gambe e braccia magre e storte. La pelle bianca e delicata, molti menti flaccidi gli coprivano il collo fino a nasconderlo, radi capelli rossicci crescevano sulle tempie e sulla nuca.
L’altro era alto ed atletico, con braccia e spalle gonfie di muscoli.
Il volto magro e duro, bruciato dal sole, segnato da piccole cicatrici. I capelli tagliati corti erano di un biondo così chiaro da sfiorare il bianco.
Fu il guerriero a parlare per primo.
- Io non ho nulla contro di te, e neanche voglio il trono, che tu ci creda o meno, perché sono roso dall’ambizione. Anzi neanche vorrei diventare Imperatore, ma ho giurato di combattere il caos ed il male e l’unico modo per farlo veramente è avere la corona che porti sulla fronte. – bevve un sorso dalla coppa d’argento – E’ un giuramento che intendo mantenere e farò tutto quello che serve per seguirlo fino in fondo-
- A quanto pare stiamo litigando per una cosa che nessuno vuole- rispose l’altro – io sono uno studioso ed un artista, vorrei dedicarmi alle cose che amo ed abbandonare le preoccupazioni del titolo.-
- Sai perché non ho preso la capitale con la forza?-
- Non volevi spargere altro sangue immagino-
- Immagini male. Ho sparso tanto di quel sangue che potrei spegnerci le fiamme dell’inferno. Se prendo la capitale con la forza però sancisco un principio. Che il trono è di chi se lo prende e non c’è altro diritto che quello della spada. Oggi il più forte sono io ma un domani, magari dopo la mia morte? Aprirei la strada alle guerre civili, ma non guerre come questa di oggi, che è solo una dimostrazione di forza. Guerre vere con migliaia di morti e lacerazioni irrecuperabili.-
- C’è una soluzione a tutto questo?-
- C’è-
- Quale?-
- Dammi la mano di tua sorella, abdica e ritirati a vita privata.-
Per la prima volta da mesi lo studioso sorrise e parve rilassarsi.
- Si- disse- può funzionare. Potrei dedicarmi agli studi, magari coprire il ruolo di rettore all’università della capitale. Certo questo eviterebbe ogni violenza, e certo Khatrina non ne sarà dispiaciuta. Non ne sarebbe dispiaciuto neanche mio padre fosse vivo. Lui era un guerriero, avrebbe voluto un figlio come te, e la discendenza della mia casata continuerà a sedere sul trono. –
- Allora siamo d’accordo. Se per te va bene però vorrei comunque parlare con Khatrina. Posso avere un incontro qui con lei?-
- Certo…. Fratello-

Capitolo quarantaquattresimo “ due chiacchiere da uomo a donna”
Per il secondo incontro DeVeer dovette aspettare un’eternità
Non perché ci fossero dei problemi a riguardo ma perché la ragazza si prese “ un po’” di tempo per farsi bella.
Si presentò all’incontro in un completo blue bordato d’oro. Scollato in modo scandaloso. I capelli rossi acconciati accuratamente, un trucco leggero ma ben fatto.
Tutti rimasero ammaliati tranne Coccola che fece un oscuro commento sulle donne troppo magre e se ne andò brontolando.
Il guerriero prese per mano la ragazza e per la seconda volta si sedette nel piccolo giardino.
- Andrei- disse la ragazza con aria civettuola- se volevi uscire con me potevi chiedermelo e basta, senza tutta questa pagliacciata della guerra civile.-
- Sai Khatrina – rispose lui – non sembra ma sono un po’ timido con le donne. E poi le imperatrici al giorno d’oggi hanno tutto. Pensavo “ma che le posso portare. I fiori?, un dolce?” alla fine ho pensato che un esercito poteva essere la cosa più originale.
- Un esercito di fidanzamento? Originale lo è ma non voglio pensare a cosa mi regalerai per il nostro primo anniversario.
I due si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere.

Il matrimonio fu organizzato due settimane più tardi.
I festeggiamenti durarono tre giorni.
Parteciparono decine di migliaia di nobili e normali cittadini. Partecipò tra gli altri una vecchia cieca, che durante la cerimonia pianse in un angolo.
A tutti parve che le nozze segnassero la fine del periodo più brutto che l’impero avesse conosciuto dalla sua creazione e l’inizio di una nuova epoca d’oro.
Purtroppo tutti si sbagliavano, perché quella era la luce del tramonto, e la notte doveva ancora arrivare.



















LIBRO UNDICESIMO
Un grande uomo ha grandi amici… e nemici ancora più grandi.


Mentre DeVeer si sposava, tremila miglia più a nord ed a est, nel cuore delle Lande Desolate-

Capitolo quarantacinquesimo “l’alba delle tenebre”
In un’immensa pianura in mezzo al nulla, tutto attorno ad un tempio maledetto si era riunito un esercito di dimensioni inimmaginabili.
Decine di migliaia di stendardi ognuno diverso ma ognuno contenente il rosso, colore del sangue e dell’inferno, spuntavano dalla massa brulicante di corpi contorti e bestiali.
Ogni lord del Caos del continente aveva risposto all’appello portando le sue truppe al luogo del raduno.
Alcuni avevano marciato per mesi, altri avevano attraversato le porte infernali che punteggiavano le Lande Desolate ed erano semplicemente apparsi nei pressi del tempio.
Esseri mutati, per metà uomini e metà animali, con teste di capra o cane, con tentacoli al posto delle braccia o arti animaleschi. Cavalieri neri, la cui armatura infernale si era fusa con la pelle, giganteschi Minotauri, e Troll ed esseri per i quali non esisteva neanche un nome.
Giganti e creature giunte dall’inferno, o dai mondi conquistati e dominati dal caos.
Tutti erano giunti spinti dal richiamo dei Grandi Demoni.
Tutti avevano giurato di seguire il Prescelto fino alla fine della lotta immane che li attendeva.
Dopo giorni le porte del tempio di alabastro si aprirono, e Roman Handerson DeVeer emerse dalle viscere della costruzione sacrilega.
Addosso l’armatura nera coperta di rune arcane e maledette. In pugno Gae Bulga, la lancia forgiata per lui nelle fiamme dell’inferno dallo stesso Demone Cieco.
Due giganti corsero fino a lui e si inginocchiarono mettendo ai suoi piedi un trono montato su due aste metalliche.
DeVeer si sedette ed i due colossi sollevarono il trono in modo che si potesse vedere il Prescelto per chilometri.
Un silenzio improvviso calò sulla pianura mentre a centinaia di migliaia, a milioni si alzavano per vedere il loro condottiero.
Roman guardò l’immensa armata ai suoi piedi, prese fiato ed urlò con le due voci uscenti dalle bocche simmetriche.
- E’ giunto – disse – è giunto il momento che aspettavamo, l’inizio dell’Era del Sangue. –
- Questa- aggiunse indicando il sole che sorgeva alle sue spalle, dopo un attimo di silenzio- questa non è l’alba di un nuovo giorno, questa è l’alba delle tenebre.-
Un tuono assordante si alzò dalla valle, un tuono che era un miscuglio di urla disumane, ruggiti, muggiti, squilli di tromba e versi animaleschi.
Il Prescelto si girò verso il tempio dove il suo padrone attendeva su un trono d’avorio coperto dalle tenebre.
Sentì una voce che non proveniva da nessuna parte sussurrargli all’orecchio.
- Questa volta nessun errore è consentito. Vinci o muori ma non provare a tornare sconfitto o soffrirai in eterno tra le fiamme dell’inferno. E ricorda, il futuro che ti ho mostrato non è certo per quanto sia tenue la possibilità che cambi nuovamente.

Mentre DeVeer si sposava, tremila miglia più a sud ed a ovest, nel cuore di un continente da secoli uscito dalla storia ed entrato nella leggenda. Un continente da cui raramente tornavano avventurosi mercanti parlando di una civiltà aliena e fiorente, ricca e magnifica.

Capitolo quarantaseiesimo “ il libro del fato”
Nella grande sala di marmo bianco, tra colonne decorate, su banchi di ebano intagliato sedeva il consiglio degli elfi.
Trenta senatori, maschi e femmine, tutti eleganti e bellissimi, di un’età indefinibile sedevano a semi cerchio davanti al Leggio.
Harald Spadalucente, Re degli elfi da tremilanovecentoquattordici anni li aveva convocati quella mattina.
Giunse come sempre in perfetto orario, portando il Libro del Fato, scritto dagli Dei all’inizio del mondo, contenente il passato ed il futuro delle razze.
Quel giorno un’aria triste segnava il volto perfetto.
Depose il Libro sul Leggio e con voce grave prese la parola.
- Amici, compagni – disse – ieri un’ombra è scesa sul mio spirito. Ieri ho capito di aver sbagliato da sempre, di aver portato la vergogna su di me, su di voi, sulla nostra razza, e prego gli Dei che possano perdonare la mia anima quando varcherò la porta della morte.
I senatori guardarono interdetti il loro Re. Esterrefatti, stupiti nel sentire quelle parole pesanti e quella voce dolente.
- Da secoli – riprese il sovrano ancora più triste – da secoli abbiamo abbandonato il continente principale e le Razze Giovani che lo abitano, perché il loro fato era segnato, scritto sul Libro. Il loro triste destino era stabilito dalla notte dei tempi e così ci siamo ritirati al sicuro nelle nostre terre isolate, aspettando che l’Era del Sangue iniziasse, che l’Inferno arrivasse sulla terra e le Razze Giovani fossero spazzate via dalla marea del Caos. Tutto questo, era scritto, avrebbe avuto oggi il suo inizio, con la caduta della capitale dell’impero degli uomini. Con il Prescelto seduto sul trono donato dalla nostra razza, la più vecchia, al più giovane dei nuovi popoli.-
Aprì lentamente il Libro del Fato
- Oggi ho aperto il Libro ed ho scoperto che il Fato, scritto da migliaia di anni, era cambiato-
Sull’assemblea calò prima il silenzio, poi trenta voci si accavallarono l’una all’altra mentre tutti i senatori cercavano di parlare.
Re Harald alzò una mano imponendo il silenzio.
- Vi prego amici, compagni. Guardate quello che anche io ho visto e poi parleremo.
Uno ad uno gli elfi scesero dai banchi di ebano e lessero la pagina centrale del Libro, quella che era cambiata.
Uno ad uno tornarono a sedersi, sconvolti, pallidi, impietriti.
Fu Orion Fucocofatuo a parlare.
- Re Harald, è sconvolgente che il libro del Fato sia cambiato ma il destino delle Razze Giovani è comunque segnato. La fine è stata solo spostata di qualche anno.-
- Amico caro – rispose il sovrano – tu non capisci, non hai ancora compreso. Noi abbiamo abbandonato i piccoli a loro stessi, alla morte ed alla dannazione perché il destino era scritto e non si poteva cambiare…. Ma è cambiato. Di poco è vero, ma qualcuno lo ha cambiato. E non siamo stati noi, con la nostra magia, il nostro potere, la nostra saggezza. E’ stato un uomo. Uno di quei bambini ignoranti dalla vita breve che tanto guardiamo dall’alto in basso. Mentre noi parlavamo lui ha agito. Ha fatto quello che pensava giusto, senza badare al fatto che fosse possibile o meno, e questa è stata una pietra che ha dato il via ad una valanga che ha cambiato tutto. -
Re Harald prese fiato e guardò i trenta senatori negli occhi, uno dopo l’altro.
- Come possiamo ora rimanere nei nostri candidi palazzi sapendo che il futuro non è scritto in modo indelebile, sapendo che il coraggio e la forza di volontà di un singolo uomo lo hanno già cambiato una volta? Come possiamo chiudere gli occhi e non guardare il dolore e la disperazione delle Razze Giovani? Cosa diremmo ai nostri figli un giorno? Un umano ha fermato il corso della storia per un attimo ma noi non abbiamo avuto il coraggio di aiutarlo, per questo i dannati dominano questo mondo. Questo dovremmo dire?
Aldiana Lanciadifuoco si alzò e chiese la parola.
- Re Harald, capisco quello che vuoi dire, ma cosa dovremmo fare? Lasciare tutto ed andare a combattere una guerra lontana tra genti straniere? Io ho un bambino piccolo, quando sarò morta in un’impresa nobile ma folle chi si occuperà di lui? Cosa farà senza la sua mamma nei primi anni della sua lunga vita?-
- Ed i bambini degli uomini, dei nani e degli orchi? – rispose Gerald Asciarossa – loro stanno già perdendo le loro mamme, ed a molti spetta un destino peggiore della morte. Anche io non voglio lasciare la casa che ho costruito e la compagna che amo ma non posso vivere sapendo il male dilaga appena oltre il mio sguardo. Gli dei sono stati buoni con noi, ci hanno dato tanto, noi abbiamo il dovere di aiutare le Razze Giovani, come si aiutano i piccoli ed i malati.-
La discussione continuò per ore. Re Harald guardò ancora i presenti e quindi parlò nuovamente.
- Ci sarà tempo per discutere ancora, ma ora ho deciso. Da oggi la legge che vieta di costruire navi è tolta, metà del tesoro reale è destinato alla costruzione di una flotta ed all’acquisto di armi ed armature. Io non ordinerò a nessuno di andare a combattere una guerra lontana sul continente, ma qualunque elfo decida di farlo avrà la mia benedizione. Mia figlia Lorean Spezzacuori ha chiesto di andare, e gliel’ho concesso. Lei guiderà la spedizione

La costruzione della flotta durò anni, e per anni le discussioni animarono le dimore del primo popolo.
In ogni famiglia, in ogni piazza, in ogni strada si discusse su cosa era giusto fare.
Da prima furono singoli elfi ad unirsi alla principessa, poi piccoli gruppi, poi un fiume in piena.
A migliaia lasciarono le case, salutarono le spose ed i figli per prendere le armi ed unirsi alla spedizione che avrebbe attraversato il mare e per morire combattendo contro i dannati.



















































LIBRO DODICESIMO
I nemici non si contano, si combattono


Circa tre mesi dopo le nozze un ambasciatore proveniente dai Principati Liberi dell’Est giunse alla capitale.
Non era comune che un ambasciatore facesse un viaggio tanto lungo nella cattiva stagione, l’Imperatore si trovava a cena con la moglie e la corte e chiese all’ospite di raggiungerlo subito, se voleva, ed unirsi a lui.

Capitolo quarantasettesimo “ sono l’imperatore di tutti gli uomini “
La lunga tavolata era imbandita riccamente ma senza stravaganze.
I commensali, nobili vecchi e nuovi, funzionari e comandanti erano raccolti attorno alla giovane coppia.
L’imperatrice guardava lo sposo con aria adorante stringendogli al petto il braccio sinistro.
Tutti ascoltavano lo stravagante racconto di Stendilo e Sdraialo a proposito delle città naniche del sud.
Tutti tranne Gino che divorava porzioni enormi di arrosti assortiti.
La giovane moglie di DeVeer lo aveva adottato e si prendeva cura di lui come prima aveva fatto la sorella scomparsa ormai da anni. Gli preparava personalmente i dolci ed i due erano diventati inseparabili.
L’ambasciatore fu annunciato ed entrò nella stanza, immediatamente il giovane Imperatore lo accolse con un sorriso e lo invitò a sedere alla sua tavola.
- Sire preferisco rimanere in piedi – disse lo straniero - Sono venuto per portarvi un’importante ambasciata e ripartirò appena avuta la vostra risposta, perché voglio stare vicino alla mia gente.
L’allegria si dissolse in un attimo.
- Una gigantesca armata del Caos è apparsa dalla Desolazione. Ha distrutto Ostria e Weldsta. Le forze di tutti i Principi si sono unite ma siamo inferiori per dieci ad uno rispetto ai dannati. Sono stato incaricato di pregarvi, di implorarvi di prendere le armi e venire in nostro aiuto. Senza la potenza dell’Impero, senza la guida dell’uomo che ha sconfitto morti e dannati siamo persi.-
Nella sala calò il silenzio.
Khatrina impallidì lasciando andare il braccio dello sposo.
Per un attimo si udì solo il rumore delle mascelle di Gino che imperterrito ruminava gli arrosti.
- I Principi dell’Est sono sempre stati nostri nemici.- gridò Maximilian - Troppo comodo invocare il nostro aiuto ora che sono in pericolo, dov’erano quando i morti devastavano le regioni dell’est-
- Si
- Vero
Urlarono la maggior parte dei presenti.
L’ambasciatore assunse un’aria contrita e desolata, perchè già sapeva che avrebbe ricevuto questa risposta ed aveva provato solo per disperazione.
DeVeer si alzò, mise le mani sul tavolo e parlò ad alta voce.
- Non avete capito nulla. – disse rivolto alla sua corte – state con me da tanto tempo e non avete capito nulla, com’è possibile? Qualcuno di voi c’era quel giorno lontano in cui ho preso il comando dei Flagellanti. Tu Giusba c’eri, te lo ricordi il giuramento?
L’ometto sorrise e ripete.

- Io sono Andrew Handerson DeVeer – urlò a pieni polmoni alzandosi – e giuro che non avrò pace fino a che non avrò ucciso ogni servo del caos, ogni seguace del male che cammina su questa terra o striscia sotto la sua superficie. E dopo che li avrò eliminati tutti attraverserò i portali del caos e metterò a ferro e fuoco il posto che vomita queste orde di dannati sulla mia terra. Chi è con me, chi mi vuole seguire in questa impresa urli il mio nome.-
“DeVeer” urlarono tutti i guerrieri presenti alzandosi di scatto.
- Io sono l’Imperatore di tutti gli uomini che sono minacciati dal Caos. Porterò le mie armate ad est-
L’ambasciatore sorrise stupefatto e contento, quindi si inginocchiò alla maniera che nell’est si usava per salutare il proprio signore.
Khatrina corse fuori dalla stanza in lacrime.

Un’ora dopo DeVeer parlava alla moglie piangente attraverso una porta sbarrata.
- Khatrina – disse – devo andare, l’ho giurato ed è mio dovere, cerca di capire…
- Sai cosa capisco? Che io sono tua moglie ma tu non sei mio. Il giuramento fatto ad un’altra è più importante di me. Ed ora mi lasci per andare a combattere chissà dove e chissà per quanto tempo.- rispose la ragazza tra le lacrime.
- Khatrina, - disse con tono dolce - tu sei l’unica donna della mia vita ora. Non te l’ho mai detto prima d’ora, me ne accorgo solo adesso, ma ti amo, e mi mancherai da morire. Ti prego non rendermi la partenza ancora più difficile, ti prego fammi entrare e passiamo assieme queste ore -
La porta si aprì lentamente. La ragazza piangeva e rideva allo stesso tempo.
- Mi hai detto che mi ami – ripete stringendolo forte.

L’armata imperiale iniziò un’altra marcia invernale, questa volta verso est. DeVeer si portò dietro 40.000 uomini. Veterani delle sue precedenti campagne militari, soldati di carriera e mercenari che avevano combattuto contro di lui o militato ai confini dell’impero durante la guerra civile, giovani nobili corsi alla corte per unirsi all’Ariban, il reggimento dei compagni dell’imperatore.
In tre settimane superarono le terre ancora devastate dalla recente guerra contro i morti, e poi il confine orientale, oltre le colline nere.
Entrarono nei Principati Liberi accolti come salvatori. I signori locali corsero a rendere omaggio all’imperatore ed unirono le loro magre forze alle sue.
Per due settimane DeVeer evitò lo scontro con i dannati, limitandosi a raccogliere ovunque bestiame, corde, pece e fieno, tra lo stupore dei nuovi alleati ed i sorrisi dei vecchi che avevano imparato come dietro apparenti stravaganze potessero nascondersi idee geniali.
Poi con una marcia notturna l’armata degli uomini si avvicinò ai lord del Caos. I bovini furono legati tra loro ed a balle di fieno coperte di pece. L’imperatore diede l’ordine e le bestie furono indirizzate verso il campo dei dannati mentre i garzoni davano fuoco al fieno.
Gli animali in preda ad un terrore folle iniziarono una corsa disperata e travolgente .
I dannati si svegliarono udendo nella nebbia il frastuono di quella che sembrava una carica di cavallerie pesante, la carica che aspettavano da giorni da quando avevano saputo dell’arrivo dell’Imperqatore.
Sotto i colpi di frusta ed i calci di guerrieri in armatura nera orrendi mutanti formarono una massa compatta di picche, pronti ad impalare uomini e cavalli…. ma la nebbia vomitò su di loro una massa compatta di bovini impazziti per il terrore. Le bestie sfondarono la falange dei dannati, calpestando, devastando, appiccando il fuoco ai tendaggi con le balle di fieno che trascinavano e gettando l’armata del caos nella più competa confusione.
Subito dietro le bestie arrivarono i cavalleggeri imperiali che massacrarono a sciabolate i picchieri in fuga, colpirono con frecce e pallottole i guerrieri neri impedendo alle forze dei mutanti di riordinarsi e riunirsi.
Un troncone di quell’esercito che un’ora prima era stato una macchina da guerra trionfante cercò di ritirarsi verso sud ma venne caricata a fondo dalla cavalleria pesante imperiale e dall’Ariban prima di riuscire a riorganizzarsi a sufficienza per potersi difendere,
Un altro contingente finì tra l’incudine della fanteria pesante di DeVeer ed il martello degli inferociti Principi di confine.
Reggimenti di dannati, incalzati dai cavalleggeri e tormentati dai tiratori cercarono di ripiegare ad est, attraverso un lago gelato ma l’artiglieria imperiale, in gran parte regalo di nozze dei Re Nani, sfondò il ghiaccio. I mutanti annegarono o furono sterminati.
Fu una delle più grandi vittorie a memoria d’uomo ma i festeggiamenti vennero presto guastati dall’arrivo di un messaggero dall’impero.
Una seconda armata del caos era apparsa dal nulla e minacciava la capitale.
DeVeer raccolse le sue forze e corse a marce forzate verso ovest arrivando però il giorno dopo la caduta della città.
I palazzi imperiali, le case del popolo, tutto era bruciato o distrutto, gli abitanti morti… o peggio.
Davanti all’esercito imperiale schierato presero posto i dannati.
Dalle loro file uscì un essere deforme e bestiale, che un tempo era stata una giovane e bella donna.
DeVeer pallido e tremante andò incontro al campione nemico, che di chi era prima conservava solo i lunghi capelli rossi.
L’imperatore combatte un allucinante duello contro la sua sposa, trasformata dalla magia nera in un mostruoso Golem del Caos.
L’essere brandiva due sciabole gemelle ed era animato da una ferocia ed una velocità sovraumane.
Le lame gemelle calarono un’infinità di volte sempre respinte dalla perfetta guardia dell’umano. Rispose una sola volta, con un singolo fendente.
La testa rotolò al suolo, il viso un tempo bellissimo deformato da una smorfia bestiale.
DeVeer aveva combattuto tra i due eserciti schierati. Prese tra le braccia il corpo di Khatrina e lo portò fino alla sua tenda dove lo depose dolcemente.
Poi si voltò verso i dannati, ed era un altro uomo, diverso, molto diverso.
Chi aveva pensato di spezzare lo spirito dell’Imperatore in questo modo aveva fatto male i conti.
DeVeer lanciò un urlo feroce, impressionante. Le anime perse dell’Armatura degli Spiriti avvertirono in qualche modo la rabbia del loro padrone ed urlarono con lui la loro disperazione.
Si lanciò alla carica, da solo, a piedi.
I nani e Gino lo seguirono all’istante, gli altri imperiali dopo un attimo.
Fu una battaglia di una ferocia inaudita, ed i dannati per una volta ebbero paura.
Esseri giunti dall’inferno si spaventarono a contatto con la furia cieca degli uomini, gettarono le armi e scapparono ma non ci fu pietà.
Ma neanche questa vittoria, pagata a così caro prezzo portò la pace.
Nuove armate del Caos apparvero a nord, a sud, ad est. Assalirono tutte le terre degli uomini, le foreste degli orchi, i castelli dei vampiri, le fortezze dei nani.
Fu allora, in quel periodo oscuro che avvenne una cosa impensabile prima dall’ora. Ricchi e poveri, nobili e popolani, barbari Noreni, Principi dell’est, Re del nord, tutti guardarono in quel momento disperato all’unico uomo che aveva sconfitto i dannati, all’unico invincibile condottiero che pareva dare una speranza di vittoria o almeno sopravvivenza.
Nel momento più buio della storia degli uomini tutti lo acclamarono e gli chiesero aiuto. Corsero sotto la sua bandiera, gli offrirono vita e spada e DeVeer divenne realmente L’Imperatore di tutti gli uomini.
Per due anni gli scontri si protrassero con alterne vicende.
Mentre le fortezze dei nani venivano soprafatte una ad una, ed i castelli dei Vampiri distrutti, mentre gli orchi languivano in schiavitù gli uomini resistevano, sorretti dalla forza di volontà del loro Imperatore e dalla fiducia fanatica verso l’uomo che li guidava.
Il terzo anno avvenne una cosa ancora più incredibile della prima.

Per primi vennero i nani.
I resti di quello che un tempo era un popolo ricco e potente strisciarono fuori dalle macerie delle fortezze, dai cunicoli nelle montagne. Corsero ad unirsi agli ultimi discendenti di una stirpe reale, due principi che già da anni combattevano al fianco del grande eroe degli umani.
I figli della roccia volevano morire con orgoglio come erano vissuti, pregarono DeVeer di accoglierli nel suo seguito, e L’imperatore li abbracciò come fratelli.
L’incudine dei nani in campo bianco sventolò di fianco al leone imperiale in campo rosso.

Nel lontano sud fu un giovane guerriero, un tempo capoguerra , ad accendere la scintilla.
Borka aveva patito l’umiliazione delle catene e della frusta, aveva visto la sua terra occupata, la sua tribù sottomessa. Un Lord del Caos aveva ucciso suo padre, i suoi cuccioli erano stati dati in pasto ai Troll.
Spezzò le catene che lo tenevano in schiavitù con la sola forza delle sue braccia ed uccise con le sue mani il capo dei dannati di quella regione.
La scintilla si trasformò in un fuoco. Gli orchi ricordarono di essere un popolo orgoglioso e marziale. Ovunque spezzarono le catene e presero le armi per seguire per l’ultima volta lo stendardo di guerra in quello che sembrava un suicidio di massa.
Borka sconfisse un’armata del Caos, diede fuoco alle foreste che da secoli erano state la casa del suo popolo, e guidò la sua gente nelle terre degli uomini, verso l’uomo che anni prima li aveva sconfitti.
Si inginocchiò ai piedi dell’Imperatore implorandolo di aiutare la sua gente e DeVeer lo fece alzare, e lo abbraccio come un fratello.
L’artiglio bianco in campo nero degli Orchi, l’incudine dei nani in campo bianco sventolarono di fianco al leone imperiale in campo rosso.

Alla fine dello stesso anno, nel cuore di una notte fredda DeVeer fu svegliato dai suoi attendenti.
Un esercito di morti era arrivato al campo imperiale, guidato da Boris e Vladimir, due anziani vampiri che anni prima aveva combattuto come generali del Re Vampiro.
Vivi e morti si fronteggiarono nuovamente, per un soffio non si arrivò allo scontro.
DeVeer corse in mezzo ai due eserciti fermando a fatica i suoi che stavano per avventarsi sulle file impassibili dei non morti.
L’imperatore accolse anche loro tra le sue fila, abbracciando Boris e Vladimir come fratelli.
La ruota di spade in campo bianco dei morti si unì all’artiglio bianco in campo nero degli orchi, all’incudine dei nani in campo bianco e sventolarono di fianco al leone imperiale in campo rosso.

Uomini, vivi e morti, nani ed orchi, uniti sempre più strettamente combatterono per un altro anno contro le forze straripanti dei dannati.
DeVeer sconfisse una dopo l’altra tre armate del caos ma l’inferno vomitava sempre nuovi nemici.
Per ogni reggimento nemico annientato due sembravano arrivare dalle Lande Desolate.
Le province del nord e dell’est furono abbandonate.
File interminabili di profughi marciarono sempre più verso ovest, fino al mare, fino a che non ci fu più un posto dove ritirarsi.
Uniti in un unico popolo dalla disperazione e dalla paura razze diverse costruirono un’unica nuova nazione in riva all’oceano guardando con fede maniacale all’Imperatore di tutti che imperturbabile continuava a lottare e resistere come fosse certo della vittoria, come se tutto fosse calcolato e parte di un piano che solo lui capiva e li avrebbe portati alla salvezza.
Era l’estate del quinto anno di guerra quando arrivarono.
Ad est tutte le armate del caos si stavano radunando in un unico immane esercito guidato dal Prescelto in persona.
Le vele bianche apparvero all’orizzonte all’improvviso, portate dal vento dell’ovest, centinaia di navi corsero veloci verso il continente

Capitolo quarantottesimo “ e se arriverà domani un esercito di rane volanti ebbene arruolerò anche loro “
Stendilo sbraitava.
- Elfi – urlava in preda ad un furore derivante da un odio atavico la cui origine si perdeva nella notte dei tempi – non ci si può fidare di loro, non dobbiamo accoglierli.
DeVeer sbuffò spazientito.
- Ho accolto gli orchi – disse - ed persino i morti, senza offesa Boris, posso accogliere anche gli elfi. E voi nani ve li farete andare a genio che vi piacciano o no perché io lo comando. Li prenderemo con noi, e se arriverà domani un esercito di rane volanti ebbene arruolerò anche loro.-

Capitolo quarantanovesimo “ Andrew Handerson DeVeer, Re dei Re, Imperatore dei vivi e dei Morti”
Lorean Spezzacuori camminava verso lo schieramento dei continentali mentre le sue truppe sbarcavano ordinate dalle navi.
Accompagnata dalle sue guardie del corpo di diresse verso quella che sembrava una delegazione di accoglienza.
Un umano grasso e gigantesco, un giovane dall’aria ebete, all’ultimo si staccò dal gruppo e corse verso gli elfi.
Fermandosi gridò a squarciagola
- Sta per arrivare, onorandoci con la sua presenza Andrew Handerson DeVeer, Re dei Re, Imperatore dei Vivi e dei Morti-
Gli elfi si guardarono straniti mentre il gruppo composito si avvicinava.
In mezzo a tutti un umano dall’aria arrogante, in armatura da battaglia.
Attorno a lui umani, vivi e morti, orchi e nani.
Lorean chinò la testa in segno di saluto.
- Sono Lorean Spezzacuori, figlia di Harald Lamalucente, Re degli elfi. Mio padre manda questa esercito ad aiutare L’Imperatore suo fratello contro il comune nemico. –
DeVeer ignorò la principessa e guardò l’armata che sbarcava dalle navi,
- Sanno gli Dei quanto è gradito il dono di tuo padre-




























LIBRO TREDICESIMO
L’ultima notte del vecchio mondo e la prima di uno nuovo.


Le due armate si accamparono per l’ultima battaglia una di fronte all’altra in una vasta pianura.
Il buio scese sugli eserciti contrapposti.

Capitolo cinquantesimo “ il discorso di DeVeer”
L’imperatore stava in piedi su un palco costruito con carri e botti.
Attorno a lui pian piano si raccoglievano gli umani, vivi e morti, i nani, gli orchi, gli elfi.
Le bandiere di tutte le razze sventolavano dietro l’Imperatore.
Gino, diventato negli anni un uomo gigantesco reggeva lo stendardo.
Lorean Spezzacuori, come generale dell’esercito riunito aveva un posto ai piedi del palco, in mezzo a quella gente aliena.
Aveva vissuto in un mondo perfetto, tra marmi bianchi e vesti immacolate. Ora si trovava ai piedi di un barbaro che la trattava come un suo suddito, circondata da esseri sgraziati, sporchi e puzzolenti.
L’imperatore parlò con voce possente amplificata dalla magia.
- Gli Dei ci hanno fatto un dono. Tutti i nostri nemici, TUTTI, sono riuniti in un unico punto alle mie spalle. Finalmente potremmo sconfiggerli una volta per tutte, finalmente potremmo mettere fine a questa guerra, anzi a tutte le guerre. A tutte, perché davanti a me non vedo Orchi, Umani, Nani, Elfi o Morti, vedo solo fratelli che domani combatteranno con me contro il male. Ed i fratelli non si combattono tra loro, si aiutano. Domani sconfiggeremo questa ultima armata di dannati e poi ricostruiremo il nostro mondo. Assieme. Vivremo assieme come abbiamo combattuto assieme.-
Una donna, un essere magro ed invecchiato prima del tempo che era stata serva nelle case di un Barone e poi aveva perso il marito e la famiglia nella guerra contro i dannati. Una povera cosa vestita di stracci che stringeva tre bimbi piccoli e sporchi riuniti attorno alle sue gambe ed impugnava una mannaia che troppo spesso aveva dovuto usare per difendersi parlò per prima.
- Se vinceremo ci sarà un futuro per i miei figli? – chiese - Non dovranno essere servi e morire di fame come chi li ha generati?-
- I tuoi figli sorella – rispose DeVeer - sono i miei figli. Avranno un pezzo di terra loro da coltivare, e tanto lavoro per ricostruire la nostra nazione. Cresceranno liberi e se lo meriteranno potranno diventare generali o funzionari o studiosi.-
Un vecchio nano con un braccio solo guardò l’umano sul palco ed urlò
- Ed io potrò tornare alla fortezza dove sono sepolti i miei antenati ed i miei figli?-
- Si padre - rispose DeVeer – ed io aiuterò i nani a ricostruire le loro città. Voi avrete le montagne, gli orchi le foreste e gli uomini le pianure, e se gli elfi lo vorranno saranno liberi di costruire le loro città in mezzo a noi.-
Le domande e le risposte proseguirono per ore.
L’Imperatore ascoltò tutti ed ebbe una parola per tutti.
Lorean iniziò a guardare in modo diverso “il barbaro” in piedi sul palco, capace di parlare a tante genti diverse capendo i desideri ed i sentimenti di tutti.
Capace di andare oltre le diversità e trovare le cose che univano, i punti di contatto tra i membri del suo variopinto popolo.
In fondo alla folla una vecchia cieca guardava il giovane Imperatore commossa.
Anni prima era stata una sacerdotessa stimata, la più dotata della sua generazione. Una notte seguendo i segni aveva lasciato il convento e si era diretta verso la valle di Horn. Per un anno era stata la sposa del Marchese ed aveva generato un figlio, poi, seguendo i segni degli Dei, aveva abbandonato la sua creatura e si era allontanata.
Per anni si era chiesta perché gli Dei avessero voluto che abbandonasse il convento per generare un altro nobile borioso ed arrogante. Ora, tanti anni dopo, in mezzo ad una folla disperata e festosa, capiva la grandezza della trama che era stata creata quella nota lontana.

Capitolo cinquantunesimo “ il discorso di un’altro DeVeer”
Roman Handerson DeVeer stava in piedi, su un palco posto all’estremità opposta della piana.
Attorno a lui un mare brulicante di creature.
Mutanti mostruosi o grotteschi. Esseri enormi o minuscoli, ne maschi ne femmine, ne bestie ne uomini. Cavalieri in armatura nera, cultisti seguaci di demoni blasfemi, mostri giganteschi o piccolissimi.
Il Presceltò parlò con le sue voci diverse.
- Un tempo io, come molti di voi, ero come loro. Stupido, cieco arrogante. Poi ho capito, ho compreso. Pensavo che il Caos fosse il male ma cos’è il male? Cos’è il bene? Il bene è quello che si trova dall’altre parte di questa pianura? Sono funzionari corrotti che ingrassano sul lavoro di un popolo che muore di fame? l’arroganza di imbelli nobili per diritto di nascita? Quanti di noi sono stati scacciati e perseguitati dai così detti buoni perché diversi, deformi… deformi rispetto a che cosa? Ai canoni decisi da chi? Io ho compreso. Ho compreso la bellezza e la forza del Caos. Non ha ordine, forma se non quella che noi plasmiamo. Non ci sono belli o brutti, deformi o diversi. Tutti siamo uguali alla nascita ed ognuno fa la sua fortuna con la sua forza ed il suo coraggio. Domani spazzeremmo via i resti di un mondo marcio, corrotto, un mondo che è la vera origine della decadenza delle razze di cui un tempo avete fatto parte. Inizieremo una nuova era, L’Era del Sangue, una nuova epoca dove chiunque può diventare un Re, un Imperatore, può diventare un DIO IMMORTALEEEEEEEEEE-

I discorsi finirono nello stesso istante, dalle due estremità della valle arrivò il medesimo urlo.
DeVeer, DeVeer, DeVeer. DeVeer, DeVeer

Capitolo cinquantaduesimo “ il padre”
Harald Lamalucente stava in piedi, scarmigliato, stanco, smagrito nella sala del consiglio vuota.
Davanti a lui il Libro del Fato.
Da giorni era chiuso nella grande sala di marmo, senza mangiare, senza dormire intento a fissare con zelo maniacale il grande Libro sacro, cercando disperatamente di cercare nelle sue pagine un cenno sulla sorte della sua unica figlia, sangue del suo sangue.
Vedeva, da giorni le pagine rimanere inspiegabilmente e disperatamente bianche poi d’un tratto accadde.
Le pagine presero a comporsi dei fini caratteri runici che tanto bene conosceva, per poi cancellarsi e ricomporsi ed ancora cancellarsi.
Vide decine, centinaia di futuri scriversi e cancellarsi davanti ai suoi occhi.
Vide il Caos trionfare o essere annientato. Vide la figlia tornare alla terra degli elfi trionfante o sconfitta, La vide morire o vivere e poi… e poi ebbe un’illuminazione, e comprese perché un uomo mortale era riuscito a fare cose impensabili per l’immortale Re degli elfi.
Urlando prese il Libro del Fato e lo getto tra le fiamme.
Piangendo in ginocchio davanti al Libro sacro in fiamme comprese quanto male avesse fatto a lui ed alla sua gente possedere quel testo.
Aveva dato agli elfi l’illusione di conoscere il futuro togliendo a loro la speranza di cambiare e la voglia di migliorare.
Li aveva resi schiavi di quanto scritto perché li aveva convinti che quelle parole erano immutabili.
Chiusi nell’illusione di sapere avevano voltato le spalle alla vita reale aspettando di leggere in un libro cosa fare invece di prendersi la responsabilità di decidere, e magari sbagliare o fallire.
Tutti disposti a lasciarsi schiacciare dal Caos senza neanche provare a difendersi. Disposti ad accettare la fine della loro esistenza, dell’esistenza della loro stessa razza con la stessa stupidata e bestiale calma apatica del bestiame portato al macello.
- Mai più – disse tra le lacrime – mai più – ripete più volte sempre più piano.-



Capitolo cinquantatreesimo “ la figlia”
Lorean Spezzacuori sedeva nella sua tenda, spaventata per la battaglia imminente, sconvolta ed inquieta per tutti i fatti avvenuti in quei pochi giorni.
La sua vita pluricentenaria era stata tranquilla ed ordinata, in una manciata di ore erano capitate più cose, aveva visto e scoperto più cose che nei sei secoli precedenti.
E poi il suo orgoglio femminile era ferito.
Lei era considerata di una bellezza ultraterrena anche tra gli elfi che sono per natura quasi perfetti.
Per tutta la vita era stata abituata ed essere seguita con desiderio dagli sguardi di tutti i maschi presenti. Anche al suo arrivo sul continente era stato così. I rozzi umani, i bestiali orchi, persino i nani non le staccavano gli occhi di dosso, persino il ragazzone ebete che li aveva accolti, persino i vampiri che non erano propriamente famosi per la passionalità.
Però l’Imperatore non l’aveva degnata di uno sguardo,
Aveva guardato armatura, arco e spada per un attimo, come per valutare le sue capacità di guerriero, e poi le truppe che portava. Nessuna differenza nel suo sguardo quando si era posato sulla più bella delle elfe e quando aveva visto il capoguerra degli orchi… anzi forse il capoguerra aveva attratto maggiormente l’attenzione del sovrano essendo indubbiamente più marziale e bellicoso.
Lorean quasi senza pensarci evocò il terzo occhio e lo mando a fluttuare lungo il campo fino alla tenda che ospitava DeVeer.
I maghi umani avevano messo delle protezioni che lei superò senza nessuna difficoltà.
All’interno vide l’umano che si stava togliendo l’abito da cerimonia.
La principessa lo guardò con attenzione.
I lineamenti erano grossolani e rozzi, secondo gli standard della sua razza, ma emanavano una forza selvaggia e virile che aveva un suo fascino. I muscoli delle braccia e delle spalle erano enormi e delineati. DeVeer non era grosso quanto il suo portastendardo o alcuni guerrieri orchi ma lo era almeno il doppio di qualsiasi elfo lei avesse visto.
Un’infinità di cicatrici lasciate da lame, artigli, punte di lancia e frecce coprivano le braccia ed il petto. Ma non la schiena osservò.

Il lembo della porta si scosto, ed entrò un vecchio umano che Lorean identificò come il padre dell’Imperatore.
- Vecchio… che concetto alieno – pensò – Re Harald ha quasi cinquemila anni ma nessuno potrebbe mai capire guardandoci chi dei due è nato prima e chi dopo-
L’elfa vide l’anziano nobile inchinarsi e ricordo che il padre dell’Imperatore non era a sua volta Imperatore ma Marchese, e quindi gerarchicamente inferiore al figlio… altro concetto incredibilmente alieno.
- Andrei, tu sei il mio Imperatore ma anche mio figlio, vorrei parlare al figlio… visto che potrebbe essere l’ultima volta.-
- C’è bisogno di chiederlo papà?-
- Andrei, tu mi hai reso orgoglioso più di quanto credessi possibile, hai portato il nome dei DeVeer quasi al pari di quello degli Dei, ogni volta che ti guardo il mio cuore si riempie di fierezza, ma anche di dolore perché ho una colpa che grava sulla mia anima e non posso morire senza essermi tolto questo peso dalla coscienza.-
I due si sedettero
- Figlio, avrei voluto dirtelo anni fa ma poi ti sei sposato con Khatrina e per un po’ ho pensato che non avrebbe avuto più importanza e poi bè, ne abbiamo avute di cose da fare. Comunque, riguarda quella ragazza popolana di cui ti eri tanto innamorato tempo fa.-
L’Imperatore guardò il padre in un modo indecifrabile ma l’espressione si fece se possibile più cupa e seria del solito.
- Vedi, lei avrebbe voluto sposarti. Sono stato io a parlarle una sera… e .. e le ho detto che quel matrimonio avrebbe rovinato la tua vita che saresti diventato un paria e che se ti amava veramente doveva allontanarti da lei. –
Il vecchio sembrò ancora più vecchio, il giovane molto meno giovane.
Il silenzio aleggiò nella tenda per qualche minuto poi l’Imperatore parlò.
- Ora non ha più importanza, e poi, forse, hai solo compiuto il disegno degli Dei. Avremmo avuto qualche anno felice, poi i dannati sarebbero arrivati nelle nostre terre, e non ci sarei stato io sul trono a contrastarli. Chi si sarebbe preso cura dei nostri popoli, chi avrebbe difeso la nostra gente. Gli Dei non sono stati buoni con me, mi hanno regalato qualche attimo di gioia ed immensi dolori, nella mia vita c’è spazio solo per questa enorme responsabilità che mi schiaccia ed occupa ogni mio pensiero. Non è colpa tua e per quello che vale ti perdono. Lo so che non lo hai fatto per cattiveria, per te il titolo è sempre stato la cosa più importante, più importante dell’uomo che ci stava dietro. Non ha più senso parlarne. Domani, comunque vada, in un modo o nell’altro tutto questo sarà finito e se sarò ancora vivo, cosa che francamente non credo, smetterò di essere l’Imperatore e tornerò ad essere un uomo e forse mi arrabbierò. Ora no. Chiama i miei amici ti prego, falli entrare uno alla volta, voglio salutare anche loro in questa ultima notte –

Lorean vide il vecchio andarsene e poco dopo iniziò una processione di stravaganti personaggi assortiti, una sorta di campionario delle razze che componeva la strana corte di quello strano Imperatore.

Il Primo ad Entrare fu il gigantesco portastendardo.
- Gino, mamma mia che ragazzone sei diventato - disse DeVeer abbracciando il gigante – deve essere tutto quello che ingoi. Mangi il doppio di un orco, è giusto che tu sia grosso quanto un Troll. –
Gino sorrise in modo ebete.
- Per me sei stato come un figlio in questi anni. Il ricordo permanente di una persona a cui ho voluto molto bene anche se sanno gli Dei che le assomigli molto poco. Domani c’è la grande battaglia, hai paura?-
- Paura? Perché paura? Noi vinciamo sempre, uccidiamo tutti i cattivi, e poi torniamo a casa, da Khatrina, lei è buona, mi da il miele, è tanto tempo che non la vedo. –
- Si, domani combattiamo e poi andiamo da Khatrina, ci sta aspettando da tanto tempo, ed anche tua sorella, staremmo tutti assieme. – disse DeVeer con un sorriso triste.

Il ragazzone sorrise confuso e felice, e poco dopo lasciò il posto a Maximilian, una volta Duca di una città distrutta da tempo, signore di una terra ora deserta ed invasa dai servi del male.
- Quanto tempo è passato da quella sera in cui ci siamo incontrati per la prima volta ed abbiamo parlato degli orchi, e del trono. –
- Tanto tempo e tante cose ragazzo. Devo dire che allora ho fatto la scelta giusta. Pensavo saresti stato un ottimo Imperatore ed avevo ragione oltre all’immaginabile. Su una cosa mi sbagliavo però.-
- E sarebbe?-
- Pensavo saresti stato un pessimo marito. Lo dissi anche a Khatrina. “Ragazza questo giovanotto a fama di essere un donnaiolo tremendo, ti farà penare” invece sei stato anche un bravo marito e devo dire per nulla donnaiolo. Anzi, sono quasi preoccupato, in tutti questi anni hai più guardato una donna? Non mi pare che neanche quella principessa elfa tanto carina ti solletichi, sbaglio?-
- Max, tutte le donne che ho amato, non che siano state molte, sono morte in un modo orrendo. Penso di portare sfortuna, gli Dei non vogliono sia felice e puniscono le persone che amo. Francamente non voglio più soffrire a quel modo, e poi fino a che la guerra non è finita non posso permettermi distrazione. Troppo dipende da me.-
- Domani, dopo la battaglia, ne riparleremo.-
- Si, e nel caso non possa più parlarne ti prego di prenderti cura di Gino e della nostra gente. Ti ho nominato mio erede al titolo–
- Seguono te, non il titolo. Se tu muori niente al mondo può tenere uniti nani, orchi, nordici, non morti, gente dell’est ed elfi. Riguardo a Gino ti prometto che me ne occuperò come fosse mio figlio.-

Il terzo occhio si dissolse mentre il capoguerra orco entrava nella tenda.
Lorean, ancora più scossa da quelle emozioni e quei concetti alieni si sdraiò e cercò di calmarsi.
















































LIBRO QUATORDICESIMO
Ragnarok


Giunse l’alba ed i due eserciti si prepararono alla battaglia.
Nessuna tattica, nessun piano, solo volontà di sterminio, odio allo stato puro da sublimarsi in uno scontro frontale.
Il primo a prendere posizione fu l’Imperatore, con il suo composito Ariban.
Indosso l’Armatura degli Spiriti, con le anime perse che si contorcevano, urlavano e piangevano, trattenute a stento dalle rune maledette.
Sul capo la corona di ferro degli uomini, con incastonato al centro il rubino nero donatogli dai nani ed ai lati l’artiglio d’avorio degli orchi ed il teschio di giada dei morti. Al collo un foular di seta donatogli dalla principessa elfa.
DeVeer stringeva nella destra la spada da battaglia della sua casata ed a sinistra uno scudo d’acciaio dal bordo affilato forgiato per lui dai nani.
Attorno all’Imperatore si schierò l’esercito degli uomini.
Imperiali, genti del nord e dell’est. Guerrieri, nobili, bottegai, contadini, carcerati, servi, uomini e donne, vivi e morti.
Alcuni armati fino ai denti e coperti di pesanti armature, altri equipaggiati solo con una scure o una lancia oppure con una zappa, un piccone o un bastone appuntito.
Gli uomini seguivano DeVeer perché li faceva sentire eroi invincibili, le donne perché lo vedevano come l’unica speranza per i loro figli, i morti… bè è sempre difficile capire cosa pensa un morto. Tutti guardavano all’Imperatore con fede maniacale, e pregavano o bestemmiavano gli Dei preparandosi all’ultima battaglia.
Alla sinistra degli uomini si schierarono i nani.
Tutti i membri adulti di quella razza poco prolifica avevano seguito i Principi sul campo di battaglia per l’ultimo scontro.
I figli delle rocce erano famosi per ricordare ogni torto ed ogni favore fatto al loro popolo.
Davanti a loro stava il DeVeer che li aveva offesi più di ogni altro essere nella storia, per affrontarlo avrebbero attraversato l’inferno.
Al loro fianco stava il DeVeer che li aveva aiutati più di ogni altro non nano mai esistito. Non avrebbero mai potuto ripagare il debito contratto, per lui avrebbero attraversato l’inferno.
Quel giorno avevano entrambe i DeVeer a portata di mano ed era stato l’inferno a marciare sino a loro risparmiando ai nani un sacco di strada.
A destra degli uomini si schierarono gli orchi.
Feroci e bellicosi, nuovamente liberi e fieri, nuovamente in armi contro il nemico che li aveva umiliati e resi schiavi.
Un tempo sarebbe stato impensabile per loro servire agli ordini di un uomo, ma le cose erano cambiate in quegli anni bui.
Per cultura e tradizione erano abituati a seguire il guerriero più forte ora seguivano il più forte dei guerrieri. Non importava più fosse umano, lui era forte e mortale come un Dio della guerra e gli orchi lo veneravano letteralmente.
Per ultimi arrivarono gli elfi, con i loro mantelli bianchi, le armature lucide e le creste colorate.
Negli ultimi giorni avevano parlato e vissuto con le altre razze.
Avevano visto quanta miseria, dolore e disperazione avevano patito le Razze Giovani mentre loro godevano la pace ed il benessere in un lontano continente
Si sarebbero aspettati disprezzo e rabbia, invece l’Imperatore li aveva accolti come fratelli.
La vergogna ed il senso di colpa li aveva soprafatti, sarebbero morti per lavare quella macchia sulla coscienza della loro razza.

Il Prescelto scese in campo circondato dalla sua guardia del corpo formata esclusivamente da Troll e Minotauri, giganteschi e feroci.
I Lord del Caos lo seguirono, reggimento dopo reggimento, ognuno con il suo stendardo, rosso e oro, rosso e bianco, rosso e giallo, ovunque il colore del sangue e dell’inferno.
Vista dall’alto l’armata dei dannati sarebbe sembrata un’immensa marea cremisi pronta ad inghiottire il mondo, e forse era esattamente quello.
I servi del male urlavano, latravano, piangevano e bestemmiavano.
Un rumore assordante e continuo seguiva la massa brulicante e deforme.
Il Prescelto alzò Gae Bulga, la lancia forgiata nelle fiamme dell’inferno.
I dannati si zittirono all’istante.
Un silenzio innaturale scese sulla pianura sostituendo il fracasso di poco prima.
Roman DeVeer lentamente, molto lentamente abbassò la lancia puntandola contro l’esercito nemico.
“Andata” sussurrò.
Un urlo assordante si levò dalle gole dei dannati. Si lanciarono in una carica furibonda che fece tremare la terra.

Gino fece sventolare lo stendardo con la bandiera Elica.
Lorean Spezzacuori guidò le sue truppe attraverso le linee degli alleati.
Corsero per centinaia di metri, poi formarono file ordinate ed incoccarono le frecce.
Gli elfi chiamavano il suono dei loro archi da guerra il canto della morte.
Il primo popolo fece cantare la morte forte come non mai quella mattina, perché mai prima dall’ora tanti arcieri erano stati schierati in un unico luogo.
Migliaia di frecce presero a piovere sui dannati facendo una strage orrenda delle prime file.
Le creature giunte dall’inferno riempirono i buchi nello schieramento, chiusero i ranghi e continuarono la carica calpestando morti e feriti.
Ben presto le faretre furono vuote, la distanza chiusa.
Gli elfi tornarono di corse alle spalle degli alleati, mentre l’Imperatore dava il segnale della carica.

I mastini infernali superarono in velocità gli altri esseri dannati e gradualmente staccarono le prime file.
Sanguinario era morto anni prima ma il suo sangue si era unito a quello dei lupi mannari e dei mastini orchi dando vita ad una nuova razza di cani da guerra.
Le belve presero a sbranarsi in mezzo ai due schieramenti mentre le armate si avvicinavano sempre più.
La collisione fu tremenda.

L’Ariban trascinato dalla furia guerresca dell’Imperatore prese a penetrare nello schieramento dei dannati come un coltello nel burro. I cavalieri neri sciamavano verso Andrew DeVeer come falene attratte dal fuoco, ed uno dopo l’altro furono sconfitti ed una dopo l’altra le loro anime dannate trovarono posto nell’Armatura degli Spiriti.
Alla destra dell’Imperatore stava Gino, armato con una gigantesca scure a due lame.
Il gigante menava fendenti con forza devastante a destra e sinistra urlando “cattivi, cattivi, cattivi” staccando teste, braccia e gambe ad ogni colpo.
Alla sinistra dell’Imperatore Boris, maestro d’arme e Principe delle Tenebre combatteva con abilità consumata.
Una nuova ondata di mastini infernali si abbatte sull’Ariban.
DeVeer colpì una bestia deforme al volo con la spada ed una seconda con il bordo tagliente dello scudo. Gino uccise due bestie con la sua enorme ascia ed il Vampiro un’altra con una precisa stoccata.
Il reggimento imperiale riprese ad avanzare.

Borka pazzo di rabbia colpiva i nemici con le sue due mazze da guerra. Una lancia gli aveva perforato un fianco ed una lama gli aveva staccato un orecchio, ma l’orco non sentiva dolore.
Vedeva davanti a se il Lord di Basusu che anni prima aveva guidato l’attacco alle foreste meridionali. L’essere che aveva ucciso suo padre e sterminato la sua famiglia, umiliato la sua tribù.
Si fece strada a forza tra le truppe scelte del suo nemico, fino a trovarsi faccia a faccia con lui.
Il dannato finto e colpi l’orco con un fendente micidiale. La lama nera tagliò il braccio sinistro di Borka dal gomito in giù e gli si piantò nel costato ma il selvaggio guerriero non sentì neanche quello.
Si avventò sul Lord del Caos colpendolo tanto forte con la mazza da guerra impugnata nella destra da fargli girare la testa di 180 gradi.
Cadde in ginocchio ansimando mentre il guerriero in armatura nera crollava nella polvere.
Con un ultimo sforzo afferrò lo stendardo da guerra con la mano superstite e si lanciò contro un nuovo gruppo di dannati seguito dai suoi orchi esultanti.

La guardia del corpo di Roman DeVeer stava combattendo contro un reggimento di non morti.
Scheletri e vampiri, con la tipica insensata tenacia della loro specie, contrastavano la furia dei giganteschi mostri del Prescelto senza cedere di un passo.
Un Vampiro particolarmente abile con la spada abbatte un Troll e poi un Minotauro.
DeVeer decise di affrontarlo di persona.
Parò i rapidissimi fendenti dell’altro con l’asta della lancia, afferrò poi la sottile lama con la mano guantata trattenendola per un secondo.
Il sangue nero colò tra le dita ricoperte di metallo.
La punta di Gae Bulga sfondò l’armatura del vampiro e mise fine alla non vita del morto.

Lorean e gli elfi guardavano attoniti e sconvolti lo scontro sanguinario di una ferocia inconcepibile per le loro menti delicate.
L’odio che percepivano giungere dal campo di battaglia era così forte da farli stare male.
La principessa pallida e tremante snudo la spada donatagli dal padre.
Guardò i suoi guerrieri e disse” non abbiamo attraversato il mare per guardare le Razze Giovani combattere il male al nostro posto un’altra volta”.
Si girò e con passo incerto si diresse verso la massa dei combattenti.
Gli altri elfi presero spade e coltelli, e seguirono la loro principessa nel mezzo della mischia.

I fratelli avevano guidato i nani alla testa della prima linea, poi una nuova carica dei dannati li aveva divisi dal grosso della loro gente.
I loro scudieri erano morti, solo loro resistevano, schiena a schiena, coperti di ferite, circondati da nemici caduti.
Urlavano la loro sfida rabbiosa colpendo con asce e martelli.

La vecchia cieca guardava con l’occhio dello spirito il campo di battaglia, da una piccola altura. Vedeva migliaia di anime salire verso le nuvole e per un attimo intravide figure gigantesce ed abbaglianti combattere in cielo contro mostri contorti e tenebrosi. Capì che sempre di più si avvicinava il momento tremendo che aveva visto quella notte, in cui le sorti di tutto sarebbero dipese da una singola decisione di un singolo uomo.

Rinforzata dall’arrivo degli elfi la nuova carica dei nani sfondò le file dei dannati.
Lorean Spezzacuori giunse al luogo dove i principi avevano combattuto la loro ultima battaglia. I gemelli giacevano rannicchiati uno accanto all’altro, uniti al momento della morte come lo erano stati al momento della nascita.
L’elfa disgustata e sconvolta schivò un fendente e con una risposta istintiva uccise il mutante che l’aveva assalita.
Un’ondata di dolore arrivò in risposta alla stoccata e la colpì come un secchio di acqua gelida.
Disperata cercò con lo sguardo l’Imperatore.
Un gruppo di nani si dispose a falange attorno ai corpi dei Principi respingendo una carica dopo l’altra.
Lorean vide l’Ariban imperiale voltarsi e puntare deciso verso lo stendardo del Prescelto.
Vide DeVeer farsi strada a colpi di spada verso condottiero nemico.
Tutto attorno a lei elfi e nani combattevano e morivano ed uccidevano. Si sentì morire a sua volta. Disperata guardò l’Imperatore con intensità evocando un arcano potere della sua casata, e per un attimo fu l’Imperatore.
La sua anima toccò quella dell’umano assorbendo tutto il carico di dolore, odio, disperazione e forza che questa emanava.
Vide la vita dell’altro passargli davanti agli occhi sentì il suo coraggio riempirle il cuore.
Con un urlo selvaggio si avvento sui dannati, oltrepassando i nani, sempre più addentro tra le schiere nemiche, pervasa da una sete di sangue che non era sua. Gli elfi la seguirono.

I due DeVeer si erano visti nel cuore della battaglia ed ora lottavano come pazzi per incontrarsi.
Troll e Minotauri si fecero strada a colpi di scure tra amici e nemici verso l’Ariban.
Un cavaliere nero riuscì a sgusciare tra le file degli umani fino alle spalle dell’Imperatore.
Il dannato tirò un micidiale affondo ma il vecchio Marchese si gettò in avanti facendo scudo al figlio con il proprio corpo e finendo trafitto.
L’anziano scudiero colpì il servo del Caos con la lancia che fungeva da stendardo, questi raccolse le ultime forze e con un fendente sgozzo l’umano prima di morire.
L’ uomo cadde in ginocchio, tentò di rialzarsi ma cadde nuovamente.
Gino spacco in due un Troll con un colpo di scure.
La lama rimase incastrata nella carcassa ed un Minotauro abbasso la testa e caricò il ragazzo deciso ad impalarlo sulle lunghe corna.
Il grasso scudiero afferro il mostro per le corna e con una torsione delle braccia nerborute gli spezzò il collo.
Due mostruosi mutanti gli furono addosso con le spade trafiggendolo più volte.
Gino urlò per un ultima volta “ cattivi”, prese l’ascia e con un unico fendente li uccise entrambe.
Poi le forze gli vennero meno e cadde nella polvere.

Imperatore e Prescelto si fronteggiarono.
Il primo incalzò il dannato con una lunga serie di velocissimi fendenti.
Il cavaliere nero schivò o parò la lama e rispose con un affondo della lancia infernale che mandò in frantumi il piccolo scudo forgiato dai nani.
L’uomo rispose con un colpo di taglio che ferì profondamente l’altro ad una gamba.
Gae Bulga calò verso il busto dell’Imperatore e decine di anime perse urlarono e si dissolsero
I due DeVeer ripresero a scambiarsi colpi per un tempo interminabile mentre la battaglia infuriava attorno a loro.
Di nuovo la lancia colpì l’Imperatore e questa volta neanche le rune maledette riuscirono a trattenere l’arma infernale.
Andrew DeVeer fu trapassato da parte a parte, afferrò l’asta di Gae Bulga trattenendola nel suo corpo, fece un passo in avanti e vibrò un fendente disperato verso l’alto.
La testa del Prescelto rotolò nella polvere. L’anima dannata di Roman Handerson DeVeer fu attratta urlante da una delle rune maledette che componevano l’armatura del pronipote.
L’Ariban si chiuse attorno all’Imperatore morente.
Boris e Lorean, giunta appena in tempo per vedere l’epilogo dello scontro, trascinarono DeVeer lontano dalla prima linea.
In entrambe gli eserciti la notizia iniziò a circolare, entrambe le armate vedevano il loro DeVeer invincibile e tutti i combattenti ebbero un attimo di esitazione.

Capitolo cinquantaqattresimo “ oltre l’estremo sacrificio”
Andrew DeVeer vide il suo corpo dall’alto mentre saliva sempre più in su finalmente libero dai suoi tormenti.
Vide le donne che aveva amato, Gino tornato bambino, il padre, i fratelli nani.
Sorridente si diresse verso le persone che tanto gli erano state care in vita,
Le donne lo fermarono.
- Andreich non puoi lasciarli ora, hanno ancora bisogno di te-
- Ma sono morto?-
- Senza di te si perderanno, torneranno ad essere deboli e divisi, il caos li spazzerà via- disse quella che era stata sua moglie.
- Ma sono morto, cosa posso fare più di quello che ho fatto?-
Seguì lo sguardo di Khatrina e vide il Vampiro che sorreggeva il suo corpo e capi.
- Se lo faccio, disse sempre più triste, prolungherò questa agonia chissà per quanto e non troverò pace neanche nella morte. E’ tutta la vita che soffro e combatto voglio solo stare con le persone a cui voglio bene, non potete chiedermi questo. Non c’è un limite a quanto mi si può chiedere? A quanto debba soffrire?-
Le donne abbassarono lo sguardo.
- Continuerete a guardarmi dall’alto?-
- Si- risposero entrambe.
Il corpo dell’imperatore si rianimò all’improvviso, DeVeer aprì gli occhi e afferrò il braccio di Boris tirandolo a se.
- Il dono- sussurrò
Il vampiro morse il collo dell’Imperatore con forza.
Mentre il sangue fluiva dalle sue vene DeVeer senti il freddo raggiungergli il cuore e le ossa ed una nuova forza rianimargli gli arti mentre dalla vita passava alla non morte.
Vide i suoi amati allontanarsi sempre di più fino a scomparire per sempre.
Si rialzò barcollando, “DeVeer” urlarono umani, nani, orchi ed elfi con forza.
L’Imperatore risorto guidò una nuova carica delle sue truppe mentre l’esercito dei dannati si disfaceva.
I Lord del Caos avevano giurato di seguire il Prescelto ed ora che non avevano più un condottiero a tenerli uniti presero a combattersi tra loro come avevano sempre fatto.
L’esercito imperiale prese a spazzarli via dal campo di battaglia senza pietà.

Tremila miglia più a nord ed a est in un tempio blasfemo il Demone Cieco vide la disfatta delle sue armate in uno specchio d’argento.
L’impossibile era avvenuto, la guerra del Sangue era stata combattuta e persa.
Aprì la sua percezione al futuro e vide un nuovo fato disegnarsi.
Vide una nazione forte riunire le razze e prosperare e crescere in potenza.
Vide una coppia immortale sedere sul trono di una nuova capitale.
Vide l’Imperatore Vampiro guardare cupamente ad est.
Consultò i suoi Non Fratelli.
I grandi Demoni discussero, confrontarono le loro visioni e poi decisero, tutto in meno di un secondo.
Ad ogni Lord del Caos superstite fu dato lo stesso ordine.
Tornate alle Terre Desolate, fortificate i passi e raccogliete tutte le forze.
La guerra del Caos contro l’Ordine è finita, è iniziata la guerra dell’Ordine contro il Caos.




POST SCRIPTUM

Giusba tre moglie sopravvisse alla grande battaglia ma morì poco dopo d’infarto nel letto della sua nuova moglie sedicenne.
L’imperatore generosamente si prese cura della prole dell’amico. I ventisette figli maschi entrarono tutti nell’esercito o nell’amministrazione imperiale mentre le trenta figlie ebbero tutte una ricca dote.
DeVeer sposò la principessa Lorean ed i due fondarono una nuova capitale, abitata da nani, umani, morti, elfi ed orchi, più o meno nel luogo in cui si era svolta la grande battaglia.
Re Harald, nonostante la tipica apertura mentale della sua razza, rimase alquanto contrariato nel trovarsi un genero non solo umano ma anche non morto.
Non parlò alla figlia per centododici anni e quasi si arrivo alle spade in occasione della prima visita della coppia imperiale alla terra degli elfi. Alla lunga si abituò tanto all’idea che fece costruire un sarcofago matrimoniale nell’ala nord del palazzo, per ospitare gli sposi durante le visite di stato.
[1] L’impero è un posto pericoloso e crudele, intere città a volte vengono spazzate via da epidemie, guerre o disastri naturali. I superstiti di norma diventano vagabondi, briganti o mendicanti. Non è sorprendente che molti siano resi pazzi dalle avversità subite. Molti vedono la loro condizione come un segno della fine del mondo e credono di vivere gli ultimi giorni della razza umana. Di solito queste orde di squattrinati fanatici religiosi si uniscono in bande guidate da qualche pazzo roboante, predicatore di un destino apocalittico. Viaggiano per l’impero diffondendo la loro visione da incubo, di disperazione e morte. Quando odono che sta per essere combattuta una grande battaglia si radunano per combattere l’apocalittico conflitto finale. Si buttano nella mischia senza paura. A causa delle costanti tribolazioni e dei tormenti, spesso autoinflitti, i Flagellanti quasi non sentono il dolore. Vivendo in una visione apocalittica sono totalmente privi di paura e nulla può terrorizzarli. Sono parimenti temibili per i nemici ed incontrollabili per gli alleati.